La doppia faccia di Fassino

La doppia faccia di Fassino

Arturo Gismondi

Non è nuovo, Piero Fassino, ai messaggi contraddittori, alle affermazioni sagge destinate a suscitare le lodi degli osservatori politici seguite a ruota da decisioni opposte e del tutto prive di saggezza. Il caso dell’affermazione al congresso del suo partito che gli eroi e i resistenti in Irak erano i cittadini che si erano recati alle urne sfidando le bombe di Al Zarqawi, seguito dal voto contro la permanenza dei nostri soldati a Nassirya che quelle elezioni insieme ad altri avevano protetto, è rimasto leggendario nella sua evidenza, ma non è stato il solo.
Anche nei giorni scorsi, Fassino ha lanciato due messaggi, in tutto contraddittori. Nel primo, e un po’ a bassa voce, a un convegno dei cristiano-sociali che fanno parte del suo partito, egli ha espresso una preoccupazione del tutto ragionevole. Attenzione, ha detto in quella occasione il segretario dei Ds, Berlusconi tende a dare una immagine ottimistica dell’Italia. Si tratta di un inganno, certo, ma noi dobbiamo tenerne conto. E ciò soprattutto perché a questa immagine rischia di sovrapporsene un’altra, di una sinistra cupa, preda del pessimismo se non del catastrofismo. Noi - dice Fassino - dobbiamo dare un’immagine di serenità, di forza tranquilla per affrontare il futuro che ci vedrà al governo della Repubblica.
Questo è il Fassino numero uno. Perché poi, dopo qualche ora, entra in scena il Fassino due che drammatizza oltre ogni limite la situazione. E infatti, che altro significa, in effetti, la convocazione di un raduno di massa a Roma contro una legge elettorale definita quale un attacco insopportabile alla democrazia? E che significa chiamare il popolo a scendere in piazza contro una legge finanziaria dipinta a sua volta come un colpo irreparabile alla vita delle masse popolari che dovranno, per via delle restrizioni imposte ai Comuni, sopportare il black out notturno nelle città, la chiusura degli asili e altri consimili flagelli?
Fassino non può ignorare che un evento quale la discesa in piazza di folle innumerevoli e adirate drammatizza al massimo la situazione specie se, nelle intenzioni di Epifani, a ciò dovesse seguire come seguirà uno sciopero generale, evento che non evoca più nell’immaginario la vigilia della Rivoluzione come ai tempi di Sorel, di Pietro Nenni e di Mussolini ma che è pur sempre fatto eccezionale, che suggerisce comunque l’idea di situazioni inclini al peggio.
Non è chiaro se a Fassino sfuggano le conseguenze di una simile drammatizzazione degli eventi che certo possono suscitare come hanno suscitato l’entusiasmo della componente estremista dell'Unione, una pacchia per Bertinotti, Diliberto, Pecoraro Scanio e per le componenti extra-parlamentari, no-global, centri sociali e simili ma che suscitano sentimenti opposti nella parte più moderata dell'opinione pubblica.
Come in altre occasioni, Fassino ha parlato in modo ragionevole facendo seguire poi, nei fatti, decisioni che vanno in direzione contraria. Capita sempre più spesso, al segretario dei Ds, di dare un segno di saggezza al quale seguono comportamenti diversi. E ciò per la esistenza nel suo partito e nella coalizione della quale egli rappresenta tanta parte di spiriti bollenti evocati peraltro da una opposizione votata, ormai da una intera legislatura, e dinanzi a ogni argomento, all’ostruzionismo e alla condanna senza appello. Resta da chiedersi se Fassino, seguendo la corrente che oggi trascina il suo partito e la coalizione verso mobilitazioni di piazza e scioperi generali non si renda conto che decisioni di questa natura sono fatte proprio per dare all’opinione pubblica più ampia il contrario dell’idea di una forza tranquilla che affronta le contingenze politiche con equilibrio e saggezza. Eppure è abbastanza chiaro che il clima creato da mobilitazioni popolari e scioperi generali sono destinati a evocare, nell’elettore moderato, ragionevole e dubbioso immagini e fantasmi tutt’altro che rassicuranti. Non ci vuol molto a concludere che certe forme di lotta destinate da sempre a galvanizzare la sinistra, o una parte di essa, suscitano sentimenti opposti in altre aree d'opinione. È dal 18 aprile 1948 che la sinistra ha dovuto fare i conti con il principio che le piazze piene rischiano di evocare urne vuote.
Il Polo può avere buon giuoco nel denunciare la demagogia dell’attacco a una legge finanziaria che secondo voci tutt’altro che favorevoli al governo è fra le migliori oggi possibili. E nel denunciare l’isteria contro una riforma elettorale che a suo tempo venne progettata dal centrosinistra, e che non fu portata a effetto nell’altra legislatura solo perché la coalizione al governo aveva a disposizione pochi voti di maggioranza per affrontare lo scrutinio segreto in Parlamento. Si tratta di un argomento tanto più convincente in quanto la stessa sinistra quella riforma elettorale, nei suoi principi, l’ha imposta senz’altro in questa legislatura nella regione Toscana, dove aveva le forze per farlo.
a.

gismondi@tin.it

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