La doppia tragedia degli orfanelli che hanno perso la seconda mamma

nostro inviato a Giulianova (Te)

Fidatevi. La prova provata che Dio esiste passa attraverso gli occhi vispi, dall’iride azzurrissima, di Daniel, uno dei sette orfanelli sprofondati nel seminterrato del convento delle clarisse di San Gregorio. Quattro mesi e due giorni, Daniel. Un bambolotto. Ciuccia il biberon cercando di non distogliere lo sguardo dal sorriso della mamma che non ha, ma che ha ritrovato nella dolce suora indonesiana che l’ha salvato stringendolo al petto quando il tetto è venuto giù portandosi dietro il pavimento. Daniel mangia, ride, fa pure il ruttino. È un miracolo vivente. Perché ancora nessuno si capacita di come lui e gli altri sei bambini abbandonati da genitori pieni di problemi, possano aver preso l’ascensore dell’inferno per rivedere la luce in braccio a papà-pompieri emozionati dall’impresa. Oggi i bimbi graziati dal sisma giocano a nascondino a Giulianova, a ridosso del mare, nella bella casa-famiglia Immacolata Concezione, stesso nome e stesso ordine del monastero aquilano che sbriciolandosi s’è portato via suor Anna, la cuoca delle pappe e delle patatine fritte, la preferita da chi ancora non si rassegna alla favoletta dell’ascesa in cielo «a fare compagnia al buon Gesù». Sono italiani e stranieri, sono unici. Luigi, 9 anni, è uno di quelli che è rimasto sveglio nelle tenebre, e che a forza di frignare ha indicato ai soccorritori la strada per la salvezza di tutti. «Mi ricordo solo il buio, il rumore, eppoi boh. Che paura... mamma mia...». Già, mamma mia. Chissà dov’è finita mamma sua, chissà se immagina quali mostri possano albergare ora nella testa di quel figlio ripudiato ma salvo. Reduci dai test all’ospedale, dall’esame del sangue e della vista, il resto dei marmocchi sopravvissuti si divide i giochi di seconda mano raccattati dagli ultras del Giulianova, gente abituata a sfondarsi di botte coi rivali del Teramo, che s’arrende di fronte ai sorrisi disarmanti dei sette dell’Ave Maria, come i tifosi giuliesi e giallorossi li hanno ribattezzati. Claudia, 9 anni, sulla carta è la portavoce del gruppo. La timidezza l’ammutolisce, ma che importa. «Non so che dire... non lo so io che cosa è successo, stavano dormendo e poi quando ho aperto gli occhi ho visto che ero lì sotto. Tremava tutto... Ora, però, non voglio stare qui, voglio tornare a casa, subito, subito, subito». Da suor Anna. Dagli animaletti. Dai fiorellini nell’orto. Dai giochi che saranno pure più belli dei suoi ma non sono gli stessi di là.
In televisione scorrono le immagini del funerale, le suore orientali fissano lo schermo, ognuna per proprio conto recita una prece contorcendosi il rosario fra le dita ferite. La visione funebre fra le tavole imbandite del refettorio al piano terra dell’edificio in dote alla curia di Teramo è naturalmente vietata ai minori. A Marie, quattro anni. A Marco, di tre. A Luciano, che non sa nemmeno cosa diavolo sta succedendo dall’alto del suo unico anno di vita. Chi invece scorrazza liberamente in corridoio, con i capelli fonati a caschetto, è Susanna, tipo sbarazzino di nemmeno sei anni, pure autistica oltre che orfana. Fra l’erba alta dei prati di Giulianova non si vede una bambina della comitiva di San Gregorio: Cristina, due anni, è stata ricoverata a Teramo e dichiarata da subito fuori pericolo.
Gli strizzacervelli per infanti sgobbano sodo dall’altro ieri. Chiedono di non intralciare la ricostruzione morale, affettiva, psicologica, da post terremoto. Spiegano che sarà un lavoro complicato ma che alla fine, pur con qualche cicatrice, le creature potranno crescere forti, forgiate dalle disgrazie e dalla voglia di riscatto. Intanto una delle religiose sopravvissute, toccata dalla diretta tv, dà fiato ai ricordi. «Non potete immaginare, non potete perché bisogna viverle sulla pelle... La terra tremava così forte che all’improvviso ci siamo ritrovate a scappare verso la porta e a cadere nel vuoto dal centro della stanza. Ho visto le mie sorelle precipitare giù e appresso a loro i bambini, uno dopo l’altro, e anch’io dietro, e insieme mobili, quadri, lampadari. Un attimo, rapido, velocissimo. Grazie a Dio, perché è solo il Signore che ha salvato noi e questi angioletti, una parte di parete è rimasta in piedi, un armadio è rimbalzato appoggiandosi al muro mentre un crocifisso s’incastrava sotto», facendo da ponteggio e da puntello per un’insperata capanna di cemento armato sotto cui ripararsi in attesa delle pale. «Davvero non so come siamo uscite vive – continua -. Dormivano e ci siamo ritrovate tutte nel seminterrato, tutte noi tranne suor Anna, travolta dai sassi nell’ala meno resistente del convento. Non ce l’ha fatta, preghiamo per lei».

A quel punto Daniel lancia un urlo, e la comunità raccolta in silenzio scoppia a ridere. Segno che la vita continua. Che bisogna avere speranza. Che il futuro sarà migliore. Segno, soprattutto, che Daniel reclama altro latte.

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