È qualcosa di profondamente ingiusto che qualcuno si ostini a propinarci come fair play o correttezza ciò che fair play o correttezza non è. La Red Bull neo campionessa mondiale costruttori che non attua strategia di squadra, che non si cura, fin dalla vigilia del Gran premio, di dire a Sebastian Vettel di proteggere il compagno Webber meglio piazzato in classifica, è un nonsense sportivo e per molti una presa per i fondelli. Per la verità, questa doppietta a ordine logico invertito, Vettel primo e Webber secondo, è anche un graditissimo regalo alla nostra Ferrari che si porta però dietro un codazzo di fastidiose allusioni alimentate dal team anglo-austriaco. Come a dire: ah, noi decoubertiniani gentiluomini dello sport, loro, invece, rozzi uomini pronti a fare giochi di squadra. Non a caso, all’ennesima domanda sulla presunta «correttezza Red Bull» Fernando è sbottato: «Ma quale correttezza... se ne parla troppo e si fanno troppi paragoni con noi...».
Per cui, chiariamo la cosa una volta per tutte: la decantata politica Red Bull non sarebbe mai stata attuata se dietro non ci fossero pupillo Vettel ed Helmut Marko, scopritore di Sebastian, uomo di gran mestiere capace di scovare talenti in giro per il mondo. All’origine di questa politica non c’è correttezza ma un semplice calcolo: meglio giocarsi la carta fair play, provando comunque ad acchiappare il titolo con Vettel, pilota designato fin dall’inverno, pilota giovane, strepitoso, che resterà in squadra una vita e che fa molto immagine? O meglio puntare sul vecchio bacucco Webber inaspettatamente veloce e a fine carriera?
Se non altro, il sorriso di Fernando al termine del Gp parla chiaro e il podio lo ripaga delle fastidiosi allusioni a cui si riferiva. Perché sale a 246 punti, 8 in più di Webber (che ne guadagna 3) e 15 davanti a Vettel, ora a 231. Ovvero: se ad Abu Dhabi dovesse finire come in Brasile, Fernando sarebbe campione. Mica male, visto che quest’estate, quando tutti davano lo spagnolo e la modenese fuori dai giochi, lui aveva detto: «Se andiamo a podio da qui al termine, nell’ultima corsa ce la giocheremo». Vero. Perché la pista dell’Emirato piace di più alla Rossa e perché Fernando sa come controllare. «Va bene così» sussurra infatti lo spagnolo «senza i 12 secondi persi per passare prima Hamilton e poi Hulkenberg avrei potuto far di più. E ora vediamo ad Abu Dhabi: Vettel è tornato in corsa...». Ma lo dice con un sorriso sornione.
E ovviamente sorridono per il titolo costruttori i capi Red Bull, che come detto si sentono bravi, santi e pure vergini. Sorridono ma non sanno che, più tardi, il team principal Chris Horner avrà un inaspettato sussulto di franchezza.
Lo manifesterà, prima, intonando la filastrocca «Fairplay / piloti liberi / questa è la nostra filosofia» e, poi, diventando serio quando gli faranno notare che ad Abu Dhabi, se dovesse finire esattamente come a San Paolo, il campione del mondo sarà Alonso. «No, no...» si affretterà «abbiamo già fatto abbastanza regali alla Ferrari». Come a dire: nel caso, faremo in modo che Vettel chiuda dietro Webber.Ma allora di che stiamo parlando?
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