Dorazio e il piacere di «rigare dritto»

Piero Dorazio era un pittore che tutta la vita «rigò dritto» lungo la linea di un astrattismo teorizzato come la forma autentica d’arte moderna, tanto da guadagnarsi la fama di personaggio scomodo per la veemenza polemica e la ostinata caparbietà con cui difese il suo credo. Così dice il titolo di una raccolta eccellente di scritti del pittore scomparso un anno fa (Rigando dritto. Scritti 1945-2004, Silvia editrice) assieme ad una antologia di testimonianze di letterati, amici e artisti, presentata oggi a Roma in Sant’Ivo alla Sapienza.
Combattivo e polemico nella tenzone culturale, Dorazio era un angelo della sensibilità espressiva: poche righe di colore «rigate diritto» gli erano sufficienti per manipolare il mistero della forma-luce che era poi il vero nucleo poetico del suo astrattismo. Discepolo di Giacomo Balla in gioventù, e poi sempre più vicino al «formalismo» francese (Maurice Denis, Matisse e Braque) egli ha portato il faro di una estetica lontana e nettamente contrapposta alle coeve tendenze real-espressioniste incarnate da Renato Guttuso. Ai precetti dell’impegno «socio-politico» sconfinanti con la retorica del «realismo socialista», Dorazio opponeva un suo «modernismo marxista» rispettoso della autonomia dell’arte e della libera espressione individuale tradotta poeticamente nella rigida aderenza alle formule dell’astrattismo europeo (più Mondrian e Arp che Kandinsky o Miró) e al più qualificato repertorio del nuovo - allora - immaginario artistico americano (più Barnett Newman e Rothko che Pollock o de Kooning).
Per quanto anche lui fin troppo ideologicamente impegnato (erano i tempi della guerra fredda), Dorazio fece però sempre prevalere il suo essenziale animo di poeta, soggiogato dalla «purezza» in arte, e dall’idea di un connubio intimo di pittura, poesia e musica (famoso è il suo amore per la musica di Schönberg, per il jazz, e l’intimità espressiva con l’ermetismo di Ungaretti). Il cromatismo delle sue tele intrecciate di linee e trapunte di luminosità effervescente, per equilibrio e rigore compositivo hanno non a caso suggerito un paragone con l’irrealismo magico e coloristico della tradizione umanistica italiana.
E tanto maggiore deve essere stata la sua delusione quando (negli anni Sessanta) il corso delle arti visive cambiò improvvisamente direzione proprio negli Usa, col prevalere della Pop Art che egli considerava il contrario esatto dell’arte, «una involuzione commerciale, una speculazione». Rimasto solo o quasi nella sua critica, il pittore accentuò la sua vena di polemista (con il progredire del gusto neoavanguardista, Arte Povera in primis, per non parlare del dispetto provato di fronte ai «pupazzi» della Transavanguardia). Poeta della luce e della forma-colore, Dorazio continuò così da solo a «rigare dritto» chiudendosi nel solco della sua pittura, in fondo ben poco compresa da chi ne rivendica l’eredità.

Se di certe proteste culturali e civili, oltre che del profondo amore che egli portava alla idea di «forma» nell’arte visiva, sapessero tener conto quanti oggi officeranno a Roma la sua importante e controversa figura, anche un doveroso omaggio alla memoria potrebbe assolvere a funzione non rituale.

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