Il dossier su Di Pietro che il tribunale nasconde

Se a pensar male si fa peccato, le premesse per peccare ci sono tutte. L’oggetto dei cattivi pensieri è ancora una volta Antonio Di Pietro e la corposa informativa, depositata agli atti del processo d’appello sul Banco Ambrosiano, sul misteriosissimo blitz che da pubblico ministero a Bergamo si ritrovò a fare nel 1984 alle Seychelles nel tentativo di catturare il faccendiere Francesco Pazienza, latitante nell’isola dell’oceano Indiano. La storia è nota, gli interrogativi pure. Cosa ci facesse dall’altra parte del mondo il Di Pietro magistrato nelle vesti del Di Pietro detective, non s’è mai capito. Così come nel mistero è avvolta l’attività di segugio di Tonino in costume da bagno (sconosciuta persino al procuratore capo di Bergamo) che a chiunque, persino in spiaggia, chiedeva notizie del creatore del Supersismi nascosto laggiù. Quanto poi alle allusioni di Pazienza sui rapporti di Tonino con i Servizi e alla circostanza che il futuro eroe di Mani pulite deve la vita al faccendiere che lo salvò dai sicari dell’intelligence locale, Di Pietro ha sempre svicolato. Ecco perché, forse, sarebbe stato interessante dare una sbirciatina a quel rapporto, cui si fa esplicito riferimento nella sentenza sull’Ambrosiano, vista anche quella frase riportata da uno dei tanti magistrati che si sono occupati del crac: «Si trattò di indagini irrituali di un allora sostituto procuratore della Repubblica».
Incuriosito dal riferimento a Pazienza e dagli ampi servizi che il Giornale ha dedicato al giallo delle Seychelles, l’avvocato Gianfranco Lenzini, storico difensore dei piccoli azionisti dell’Ambrosiano, nell’interesse dei suoi assistiti s’è recato come sempre in archivio a prendere copia dell’atto. Ma per la prima volta, in anni e anni di attività difensiva, s’è trovato davanti un muro di gomma: il documento su Di Pietro alle Seychelles, custodito in archivio, (in teoria), a disposizione delle parti processuali, è stato negato dai magistrati di Milano.
Avvocato Gianfranco Lenzini, ancora a caccia del famoso dossier Di Pietro-Seychelles?
« (ride). È un mese e mezzo, che praticamente ogni giorno, mi reco in tribunale per prendere copia. È diventata una questione di principio. In tutti questi anni non ho mai avuto problemi a tirare via un documento. Andavo, chiedevo, tempo due, tre, massimo quattro giorni, e la copia era pronta. Stavolta invece no. Problemi a non finire, una cosa mai vista, mai vista...».
E come se la spiega?
«Non me la spiego».
Una coincidenza che quel documento imbarazzante, custodito dal tribunale di Milano, riguardi Di Pietro?
«Io non lo so. Prendo solo atto che mai, prima d’ora, mi era stato negato un atto».
Come nasce l’interesse per il dossier Seychelles?
«Premessa: a me del signor Antonio Di Pietro non interessa niente. A me interessa solo recuperare i documenti dall’archivio centrale del tribunale di Milano dove sono conservati tutti i faldoni del processo per il crac dell’Ambrosiano (un centinaio in tutto) perché nell’interesse dei piccoli azionisti devo avviare cause civili contro Pazienza, Gelli, Tassan Din, Ciarrapico e altri. Quelle carte mi servono per ricostruire determinate vicende e avviare le cause per un risarcimento del danno. Tra le vicende che sto ricostruendo c’è anche questa di Pazienza e Di Pietro che è citata, descritta, nella sentenza del Banco Ambrosiano. Fra l’altro l’interesse nasce anche dal fatto che in un colloquio con Francesco Pazienza, nell’intervallo di un’udienza del processo sull’Ambrosiano, costui mi raccontò che l’aveva chiamato il pm Di Pietro per ringraziarlo per avergli salvato la vita alle Seychelles. La vicenda, lì per lì, non la approfondii. Poi però... ».
Con le motivazioni della sentenza, nel ’94, la vicenda di Antonio Di Pietro alle Seychelles e del «rapporto» inviato ai giudici dell’Ambrosiano diventa ufficiale.
«Appunto. E torna d’attualità nel febbraio scorso. E siccome nella sentenza questo passaggio delle Seychelles è indicato chiaramente con il numero del faldone e con le pagine precise non ho fatto altro che andare come al solito in archivio e dare indicazioni per estrarre copia. Una cosa semplice, direi quasi banale. Ma per la prima volta è iniziata una trafila burocratica allucinante, assolutamente inspiegabile. La prima istanza è di oltre un mese fa, quasi ogni giorno ho perso ore e ore in tribunale, sbattuto da una stanza all’altra. Ogni volta ce n’era una, mi rimandavano da un cancelliere a un segretario, da un giudice al responsabile dell’archivio fino a quando non sono andato a protestare direttamente dal presidente del tribunale».
Il primo intoppo dove l’ha trovato?
«Guardi. Il direttore dell’archivio a sorpresa mi dice che no... , guardi avvocato, bisogna fare un’istanza al presidente. Poi si scopre che costui ha delegato a trattare la pratica al dottor Tranfa, presidente di una sezione del tribunale del Riesame. Va be’. Vado al Riesame e i cancellieri giustamente mi dicono... “guardi avvocato, non è qui che deve rivolgersi”. Così vado via, cerco in altri uffici finché mi dicono che devo parlare nuovamente con Tranfa. Riesco a parlarci a fatica e, un po’ seccato, mi dice: “Guardi che l’archivio è in condizioni insalubri”, i faldoni sono tutti in disordine e dunque non si può rintracciare ciò che l’avvocato chiede. Poi si accommiata così: “Le darò una risposta”».
E la risposta è arrivata subito?
«Macché. Passai diverse volte ma dall’ufficio del giudice Tranfa ma la risposta non arrivava. Così non mi è rimasto altro da fare che bussare alla porta del presidente del Tribunale, Livia Pomodoro. Alla segretaria ho fatto presente quel che stava accadendo, che non riuscivo a capire quest’insolito accavallarsi di problemi, che dovevo parlare direttamente con il presidente Pomodoro perché lei, e non altri giudici delegati, mi dovevano dare spiegazioni. Niente. Nessuna risposta. Ho dovuto fare ben due solleciti per avere finalmente una risposta che mi ha lasciato di sasso».
Cioè?
«Al sottoscritto che ha partecipato più di qualsiasi altro avvocato ai tanti processi collegati al crac Ambrosiano, il presidente del Tribunale ha spiegato che io non sono legittimato a chiedere copia di un atto che dorme in archivio e che dovrebbe essere pubblico! È ridicolo questo trincerarsi dietro scuse formali davvero incomprensibili, come quella che l’archivio non è accessibile “perché i fascicoli processuali assumono denominazione e ripartizioni sempre nuove e diverse”. L’archivio è un archivio, ho diritto ad accedervi a nome dei tantissimi piccoli azionisti che soffrono per tutto quel che è successo. Perché fino a ieri mi si dava la possibilità di fare copia di qualsivoglia atto inserito nel processo e oggi, improvvisamente, viene sostanzialmente posto un divieto?».
Che spiegazioni si è dato?
«Ma che ne so io. C’è la legge sulla trasparenza dei dati amministrativi che parla chiarissimo.

Ma vi sembra normale che per avere questo benedetto documento adesso mi debba rivolgere al Tar? Ma dove siamo? Al presidente ho anche detto che se proprio c’erano problemi con gli impiegati e con la ricerca nei tantissimi faldoni sarei andato a fare ricerche personalmente insieme a un mio collaboratore. Niente, nemmeno questo: “All’archivio non possono accedere estranei”, mi è stato risposto. Va benissimo. Ma se non si possono consultare i faldoni dell’Ambrosiano allora tanto vale bruciarli. O no?».

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