Cinzia Romani
da Roma
Lasciate che i bambini vengano a me, dice ora il cinema, perché di quanti tra loro sono sfruttati, denutriti e oppressi è giunto il momento di occuparsi. Occorre ricordare, del resto, che trecento milioni di bambini, nel mondo, soffrono la fame, mentre oltre cento milioni ignorano cosa sia un banco di scuola. Ma al di là delle cifre, colpisce che sui nostri schermi arrivino, in contemporanea, due film dedicati ai fanciulli privati dei loro diritti. E sì che, guardando a inizio stagione Oliver Twist di Polanski, qualcuno si crogiolava all’idea che solo nell’Ottocento inglese si potessero impunemente tormentare i più piccoli. Invece All the Invisible Children, film diretto da otto bravi registi (Mehdi Charef, Emir Kusturica, Spike Lee, Katia Lund, Jordan Scott e Ridley Scott, Stefano Veneruso e John Woo) e La guerra di Mario, di Antonio Capuano, da venerdì saranno sugli schermi per farci pensare a dove va il mondo, se dimentica di tutelare i bambini. Ma anche per farci intervenire in prima persona, come nel caso dei «bambini invisibili» di cui parla la pellicola-progetto, già alla Mostra di Venezia e stasera presentata all’Auditorium di Via della Conciliazione, alla presenza di Carlo Azeglio Ciampi.
I proventi di All the Invisible Children, infatti, saranno devoluti al World Food Program, sostenuto sia dall’Onu che dall’Unicef, per combattere la malnutrizione infantile sul pianeta. Nato da un’idea di Chiara Tilesi e prodotto dalla MK Film Productions, in coproduzione con Rai Cinema e con il mandrinaggio dell’attrice e produttrice Maria Grazia Cucinotta, All the Invisible Children cuce otto episodi di degrado infantile, dall’Africa al Brasile, da Brooklyn a Napoli, dalla Serbia alla Cina. Apre la desolante sequela l’africano dodicenne Tanza, che nasconde la sua fionda dentro a un muro, perché tanto, ormai, fa il soldato. «Dove sono gli altri?» gli chiede un baby-commilitone. «Quelli morti?» fa lui. «Li rimpiazziamo con quelli come te» è la risposta. Chiude la rassegna un ragazzino della periferia napoletana, che prima ruba un orologio di marca e poi va a mangiare lo zucchero filato, cercando spensieratezza.
Ugualmente drammatico e ambientato a Napoli, come l’episodio di Stefano Veneruso (dove la Cucinotta s’è ritagliata un cammeo), La guerra di Mario dispone Valeria Golino e Marco Greco intorno al perno dell’infanzia negata. «Amo avere bambini sul set» dice il regista Capuano, lo stesso di Pianese Nunzio (1994). La storia è quella di un bambino difficile, sottratto alla sua famiglia naturale dal Tribunale dei minori, che vorrebbe dargli un’opportunità, affidandolo temporaneamente a una coppia benestante. «Qui sono una madre non naturale, con tutta la sua veemenza di amare e farsi amare» spiega la Golino, spesso nel ruolo di genitrice affettuosa. Non a caso la frugale pellicola, distribuita da Medusa, accenna al problema dei bambini-soldato, oltre a quello dell’affido temporaneo. E che vadano fatti interventi di sostegno a favore dei minorenni che, qui come nell’episodio di Spike Lee in All the Invisible Children, vivono situazioni di disagio familiare, è evidenziato dall’appoggio delle istituzioni.
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