«Ds corretti, ma sono i magistrati che hanno bloccato Fiorani e soci»

Enrico Letta (Margherita): il caso Bnl non toglierà voti a sinistra

Luca Telese

da Roma

Dal governatore della Banca d’Italia alle scalate finanziarie, dalle inchieste dei magistrati alla proposta Bondi. Enrico Letta, cervello economico della Margherita, ulivista doc, probabilmente sorprenderà qualcuno. Difende l’operato dei pm, esulta per la nomina di Draghi, spiega che bisogna distinguere fra Fiorani e Consorte, tra Bpl e cooperative e aggiunge che la vicenda dell’Unipol non dividerà l’Unione: «Rispetto ai Ds avevamo opinioni diverse sulle scalate, ma in questo momento non mi interessano polemiche».
Onorevole Letta, quanto è contento, da uno a dieci per la nomina del nuovo governatore?
«Per la persona? Dieci».
Addirittura dieci?
«Sì, si tratta di una scelta che rafforza la credibilità internazionale dell’Italia e della nostra banca centrale. Draghi è uno che sa far lavorare gli altri: il Tesoro ancora si regge su quelli che sono stati chiamati i “Draghi boys”... È un risultato molto importante».
C’è un però, mi pare...
«Sì. Se mi chiede un voto sul metodo direi... sei. Si poteva raggiungere lo stesso obiettivo prima, e con danni molto inferiori».
Cioè senza aspettare le dimissioni di Fazio. Cosa pensa del governatore?
«Provo un forte rammarico per l’epilogo della sua vicenda. Quando ero ministro ho avuto modo di lavorarci, e credo che personalmente sia una persona integra: si è fatto trascinare in un meccanismo distorto».
Messo in moto da chi?
«Da un’interpretazione sbagliata del suo ruolo. La gestione monarchica di Bankitalia non poteva che produrre questi esiti. Purtroppo, e lo dico con un rammarico autentico, questa vicenda dimostra che sono saltati tutti i normali meccanismi di controllo del sistema. E che solo l’intervento della magistratura ha fatto saltare un sistema perverso. La politica ha dimostrato in questa fase tutta la sua debolezza, questo è un terreno sul quale dobbiamo tutti riflettere».
In bocca a un garantista come lei è un’affermazione sorprendente.
«Purtroppo prendo atto dei fatti: se non ci fossero state le procure oggi ci troveremmo con Fiorani a capo di Antonveneta e Consorte alla testa della Bnl, e Fazio ancora Governatore. Con quello che si sta apprendendo in queste ore, non mi pare che sarebbe stata una soluzione virtuosa».
Come se ne esce?
«La politica deve riuscire a risolvere autonomamente i suoi problemi».
Fiorani è reo confesso, Consorte ancora no.
«Non li metto sullo stesso piano: le loro vicende gudiziarie sono molto diverse. Per ora abbiamo capito solo quel che c’era dietro Fiorani, e non è un bello spettacolo. Le Coop sono una realtà ben più solida, la loro credibilità non si discute. Sono un tifoso delle cooperative, le considero un pilastro del nostro sistema produttivo».
Ma lei aveva intuito qualcosa, prima delle inchieste?
«Nel caso della Popolare e di Fiorani l’odore di bruciato si sentiva lontano un miglio. Molti erano i punti oscuri, la costruzione della banca era a dir poco incerta».
A lei i cosiddetti «furbetti» non sono mai piaciuti, perché?
«È un fenomeno che vent’anni fa sarebbe stato addirittura inconcepibile. Lo ha reso possibile una fase di grande difficoltà del nostro capitalismo: il sistema è debole».
Un moderato come Giorgio Napolitano su La Repubblica dice: Fassino e D’Alema hanno sbagliato a giudicare Consorte. Lei che ne pensa?
«Credo che Fassino e D’Alema abbiano agito correttamente».
Lei però ha detto cose molto diverse da loro in quei giorni.
«Le ripeto, non intendo alimentare polemiche, ma il punto debole di tutto, a mio avviso, è stato il collegamento tra le scalate di Fiorani, di Consorte e quella di Ricucci».
Ha visto che Bondi propone all’Unione un «patto» per resistere all’offensiva dell’antipolitica incarnata a suo dire dalle inchieste?
«Ho letto con molta attenzione e rispondo con un adagio classico: Timeo Danaos et dona ferentes...».
Cioè teme i nemici anche quando offrono doni.
«Quello di Bondi è un tentativo di accostare storie molto diverse fra loro. Nel centrodestra c’è molta sfiducia nella magistratura, io invece ho fiducia».
Veramente non è che nei Ds si trovino molti fan del Pm Greco: il tesoriere Sposetti parla di intercettazioni pilotate e diffuse con il contagocce in base a una regia precisa.
«Ecco, io sostengo i pm ma su questo sono d’accordo: non vorrei, per usare un’espressione prosaica, che questa delle intercettazioni fosse una via per sputtanare gente che poi con l’inchiesta non c’entra nulla».
Quanto sposterà, in termini di voti a sinistra, il coinvolgimento dei «manager rossi»?
«Poco o nulla. Credo che questa vicenda riguardi soltanto la nomenklatura economica e la classe dirigente: mi è difficile immaginare cosa possa aver capito un comune cittadino di questo intrico, quando faticano anche gli addetti ai lavori. Mi dispiace che sia così, intendiamoci».
Lei non crede alla teoria ventilata anche da D’Alema, secondo cui l’inchiesta è una vendetta dei mitici poteri forti contro la politica?
«Mi pare che D’Alema sia stato male interpretato. E fatico a capire chi si indichi con questa definizione».
Ma con la lista unitaria non vede il rischio che a pagare il conto della vicenda Unipol sia anche la Margherita, che era contraria?
«Non lo vedo. La nostra scelta è costruire un nuovo partito insieme, e ha fatto molto bene a scriverlo, il direttore di Europa, nel suo editoriale: noi e i Ds siamo sulla stessa barca».
E la diversità delle vostre analisi?
«Non va persa: resto convinto che un ingresso di soggetti stranieri nella finanza italiana avrebbe fatto solo bene al nostro sistema».


E l’intervista di Parisi che fece arrabbiare mezza Quercia, parlando di nuova questione morale?
«Credo che passato ogni equivoco polemico, ora sia chiaro che quel campanello di allarme continua a suonare molto forte».

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