Il ds Debenedetti: ora basta con il socialismo municipale

Il senatore attacca le proprietà degli enti locali: «Le aziende pubbliche godono di privilegi e operano al di fuori del mercato»

Antonio Signorini

da Roma

Franco Debenedetti, perché un senatore dei Ds si scaglia contro le Regioni e gli enti locali che mantengono la proprietà delle municipalizzate o che, come nel caso della Milano Serravalle, aumentano le loro quote? Si schiera contro il socialismo municipale?
«Il Paese ha venduto le banche, ha venduto quasi tutte le aziende di Stato. Lo ha fatto non solo per fare cassa e ridurre il debito. Lo ha fatto perché l’Italia ha abbracciato in modo irreversibile l’opzione della liberalizzazione. Nei comuni e nelle regioni invece questo non è avvenuto, e in alcuni casi abbiamo assistito al contrario: non solo si tengono strette le loro municipalizzate, ma usano alla grande la facoltà, malauguratamente data dal governo, di assegnare concessioni senza gara a aziende di proprietà degli enti locali».
Lei ha parlato delle municipalizzate dell’energia, delle strade. Altri casi la preoccupano?
«Le aziende informatiche, ad esempio come in Lombardia e in Piemonte. E naturalmente godono di rapporti privilegiati, come è stato denunciato recentemente dall’associazione di categoria».
Forse la ragione è una gestione più razionale...
«La proprietà porta con sé dei poteri. Ad esempio quello di assumere persone e di dare incarichi: dal direttore generale fino agli uscieri. Non dico che capiti sempre, ma il perseguire obbiettivi diversi accanto a quello principale non può che andare a detrimento dell’efficienza».
Una municipalizzata non può essere efficiente?
«Certo che ce ne sono anche di ben gestite. Ma è un fatto che le aziende pubbliche sono protette dalla concorrenza per la proprietà, e, se operano in regime di monopolio, lo sono anche dalla concorrenza sul mercato e godono di un occhio più favorevole. La proprietà pubblica produce un conflitto di interesse, tra il comune azionista e il comune regolatore. Il non sentire il morso della concorrenza induce al lassismo».
E se i comuni mantenessero le municipalizzate perché sono un buon affare?
«Gli affari vanno giudicati in confronto ad altri possibili affari e in relazione al rischio. Tenendo la proprietà di un’azienda elettrica o di un’autostrada o di un aeroporto l’ente locale va incontro a una concentrazione di rischio che non sarebbe consentita a un fondo di investimento, men che meno a un fondo pensioni».
Perché quando fa la mappa dei poteri economici che non le piacciono ci mette anche le fondazioni bancarie?
«È meno vistoso, perché nessuna fondazione, tranne il Montepaschi, ha percentuali di possesso prossime al 50 per cento. Ma in molti casi le percentuali di capitale in loro possesso contribuiscono in modo determinante all’assetto di controllo».
È veramente d’accordo con chi propone di tagliare i trasferimenti a Regioni e Comuni che non vogliono cedere il controllo delle aziende municipalizzate?
«È una proposta provocatoria. Credo che la soluzione giusta sia di tipo culturale: liberalizzare dev’essere la strategia di tutto il Paese.

Questo governo non lo può fare, non ha dato il buon esempio: dopo le privatizzazioni del centrosinistra tutto si è fermato».
Veramente non sembra che a sinistra tiri un’aria pro liberalizzazione...
«Vedremo. Ma di una cosa può star certo: se sarò della partita io la giocherò fino in fondo».

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