Dubbi su Gianfranco Anche Ferrara adesso si schiera

E ora accanto a Comunardo Niccolai, il simbolo dell’autolesionismo pallonaro a cui i finiani hanno accostato Vittorio Feltri, chi ci mettiamo? Riccardo Ferri? Va bene, da oggi Giuliano Ferrara vestirà la maglia dello stopper interista recordman di autogol. Perché se vale l’ostracismo calcistico nei confronti del direttore del Giornale che mostrava perplessità sulla recente condotta politica di Gianfranco Fini, allora dovrà valere pure per il direttore del Foglio, che ieri ha chiesto al presidente della Camera rassicurazioni sulle sue intenzioni. Tanto qui l’andazzo è chiaro, soprattutto a sinistra: chiunque metta in dubbio la santità del Gianfrancescano diventa per diritto un killer al soldo di Silvio, un sacrilego e un nemico della Nazione e della Nazionale.
Riassumendo, l’Elefantino sul Foglio di ieri esortava Fini a «prendere l’iniziativa» sulla giustizia, a «trovare una soluzione». Che nella sostanza è quanto lo incitava a fare Feltri giusto un paio di mesi fa, quando pungolava l’ex leader di An: «A te non premono soluzioni alternative, altrimenti faresti proposte». Quell’affondo valse al direttore del Giornale un bouquet di carinerie che spaziavano dal «venduto» al «servo» fino alla «mano armata» di Berlusconi. È il direttore del Giornale di famiglia, ergo è megafono dei livori e delle gelosie del Cavaliere. Vedremo se anche Ferrara, che di certo non si può considerare una voce acriticamente omologata nel centrodestra, sarà messo alla gogna nello stesso modo. Che sarà pure stato ministro del primo governo Berlusconi, ma è direttore di un giornale che per il 38% è di proprietà di Veronica Lario (ipse dixit in una puntata di Report del 2006). Quindi, cosa vogliamo dire di Ferrara? Che mette in dubbio Fini per costringerlo a rompere con Berlusconi facendo così cadere il governo del marito fedifrago della sua editrice? Oppure lui ha le carte in regola per esprimere le sue idee senza essere ridotto dai politologi a semplice pedina e ingranaggio spersonalizzato di un gioco politico sovraordinato?
La realtà è palese. È sul piano della riforma della giustizia che si tirano le somme. È da un’apertura - lasciata intendere domenica sera nel suo intervento a Che tempo che fa? - o da un’eventuale pugnalata alle spalle che si giudicherà la «cavalcata in solitario» di Fini. Quella che Ferrara da mesi giudica «un percorso politico interessante» lontano da «ricattucci e condizionamenti». Fino a ieri. Perché se Fini si rifiuta di dare man forte al premier su questo terreno e fa finta di non accorgersi che - dall’accanimento sul Cavaliere alla caduta di Prodi per l’arresto di Lady Mastella, dall’ascesa questurina di Di Pietro all’immunità europea a D’Alema - «gli ultimi quindici anni dimostrano che la giustizia non è un problema solo di Berlusconi», allora vuol dire che non vuole vederlo. E che quindi tutti i suoi «buoni discorsi» erano tesi alla «demolizione o consunzione della coalizione».
Il discorso di Ferrara, da sempre garantista sul profilo del presidente della Camera («Mi sembra di avere capito che lei non fa il furbo», scrive l’Elefantino), è chiaro: mentre altri da mesi sono accusati di leggere i carpiati politici di Fini come fusa sulle ginocchia dell’opposizione, lui li ha sempre visti come un nobile esempio di «cultura istituzionale». Passino immigrazione, eutanasia, richiami, critiche, «eresie»: ma se pure sulla giustizia Gianfranco fa il bastian contrario, allora quasi quasi pure a Ferrara vien da pensar male. «Vorrei essere rassicurato - scrive il direttore -: di questo Paese decide il popolo o l’ordine giudiziario?».

E giusto per non farsi mancare niente, un colpetto lo tira anche ai finiani di Farefuturo e del Secolo: «Smettano di comportarsi da osservatori un po’ viziati». Mamma mia, blasfemia! Dàgli, dàgli all’untore berlusconiano!

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