DUBOIS Istantanee da un ’68 piccolo piccolo

«Una vita francese» ripercorre le tappe esistenziali dei sessantenni di oggi. Scontri di piazza, rivoluzione sessuale, slanci libertari. E, in fondo, una gran voglia di borghesia

Oggi i baby-boomers, i nati dopo la fine della Seconda guerra mondiale, vanno verso i sessant’anni, e nonostante si sentano ancora giovani, cominciano ad avvertire qualche scricchiolio nelle loro ossa e nelle loro sicurezze, qualche preoccupazione per il futuro, e il bisogno dei primi provvisori bilanci. Sono milioni sul pianeta, che, dall’uomo più potente del pianeta stesso, Bush figlio, sino all’ultimo ingrigito fricchettone non hanno altro in comune che il peso e il sapore di questo mezzo secolo alle spalle, un mezzo secolo di accelerazioni in cui la vita e la società occidentale ha subito un cambiamento maggiore che in qualunque altra epoca della storia.
Ci racconta un baby-boomer formidabile ed esemplare Jean-Paul Dubois, nato a Tolosa nel 1950, in un romanzo intitolato Una vita francese (Rizzoli, pagg. 352, euro 18), la cui lettura consiglio caldissimamente. Il protagonista Paul Blick è francese, e la sua vicenda ha sullo sfondo uno spaccato di storia della Francia tanto che i capitoli prendono i titoli dai presidenti della Repubblica da Charles De Gaulle sino a Jacques Chirac nel suo secondo mandato; ma nonostante questo, ho letto il libro come allo specchio, come se qualcuno stesse raccontando di me, soprattutto nella prima parte, quella più lontana, quella di una adolescenza come oggi nessuno ne vivrà più.
Anch’io ricordo perfettamente il campionato del mondo di calcio che la televisione per la prima volta ci permise di seguire nella magia di un bianco e nero fulminante, quello giocato in Svezia nel 1958, con la Francia che era allora lo squadrone di Kopa e Fontaine, e quel Brasile imbattibile che la sconfisse 5-2, risultato che poi replicò in finale con la Svezia. Anch’io ho vissuto pranzi di famiglia come rituali imbastiti di ipocrisia e litigi, ho conosciuto iniziazioni al mistero del sesso sotto la guida di amici precoci e sfacciati. Certo, il David Rochas che immagina Dubois va sopra le righe: un tipetto dall’aria di un Vittorio Gassman adolescente che arriva a sfogare i suoi istinti belluini nell’arrosto conservato in frigorifero per il pranzo domenicale. Dall’altra parte dell’Atlantico, con una minima variante, lo faceva Portnoy, il personaggio indimenticabile di Philip Roth. E tutti siamo andati in Inghilterra a sfrenarci, con la scusa della lingua inglese, nella più clamorosa pratica del french kiss. Per chi non c’è stata una finlandese, o una danese, o una svedese in quegli anni che sulla Francia e l’Italia aleggiava ancora un certo moralismo sessuale da Controriforma?
Anch’io, lo confesso, come Paul Blick, ho avuto da adolescente la crudeltà di sentirmi più vivo, di sentirmi pienamente esistere soltanto quando mi sono trovato senza patria e senza famiglia. Anch’io ricordo il giorno del 1963 in cui fu ucciso John Kennedy, la televisione accesa, le lacrime di mia madre. E la notte del luglio 1969, quando i primi astronauti scesero sulla Luna, chiunque di noi ricorda dov’era, e quelle immagini così reali e irreali insieme.
Ma fra la tragedia di Dallas e l’impresa di Neil Armstrong c’è il 1968. Molti la penseranno diversamente su quell’anno. Molti l’hanno rimosso. Molti sinceramente dimenticato. Il personaggio di Dubois lo vive in maniera marginale e contraddittoria, ma ne coglie le valenze anarchiche, antiautoritarie, e capisce che le barricate al Quartiere Latino hanno creato la più profonda frattura improvvisa mai apertasi tra due generazioni: altro che lo sbarco sulla Luna, il Sessantotto ha invitato masse giovanili a un viaggio ben più lungo e sconvolgente. Ed ecco Paul Blick che si ribella alla logica del servizio militare, alla prevaricazione arrogante di un capufficio, a un serio professore comunista che pretende di fare davvero gli esami, eccolo che aborre lavoro e carriera.
In sostanza, ecco la borghesia francese, la più solida e forse gretta borghesia del continente, che capovolge spasmodicamente se stessa. Una volta sposato con la ricca Anna, Paul accetta in famiglia un ruolo che tradizionalmente sarebbe stato proprio della donna: cucina, bada alla casa e ai bimbi, gioca con loro. Quando deve lavorare, lo fa come per caso. Diventa un fotografo che ha successo scattando immagini di alberi della Francia e del mondo. Finirà giardiniere, per restare tra gli alberi, i cespugli, i fiori, i più elementari e leggeri aspetti della vita. Ci sono altri bei ritratti oltre a quello del protagonista nel romanzo. Il padre, concessionario della Simca, la madre correttrice di bozze, la moglie Anna, misteriosa e presente come spesso le mogli, la sua amica Laure, sessuomane insoddisfatta, sposata a un ingegnere aeronautico che progetta airbus da vendere all’Air Lingus mentre lei favoleggia di succulenti cunnilingus. Anche Mitterrand compare in una memorabile telefonata in cui cerca invano di ingaggiare Paul Blick all’apice della fama di fotografo per farsi immortalare in una delle sue pose imperiali.
Verso la fine del libro, uno di quelli che il lettore vorrebbe non finissero mai, vediamo Paul Blick accudire con un amore controverso ma dolce la vecchia madre rimasta vedova e malata: destino molto comune ai baby-boomers in tempi di allungamento così cospicuo della vita media. Ci sono altri eventi che naturalmente non svelerò al lettore.

Ma voglio sottolineare la forza con cui questo libro ci fa ridere, ci incanta e ci chiama a una riflessione collettiva in cui - francesi o italiani - ci sentiamo figli dei decenni passati, con tante ferite ma anche qualche residua speranza.

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