Cultura e Spettacoli

Le due Germanie di Günter Grass e di Joachim Fest

Una vita che si compie nella pienezza intellettuale, quella di Joachim Fest, il principale storico tedesco del dopoguerra, che si è spento lunedì notte. Pochi giorni or sono aveva potuto ancora vedere il primo esemplare della sua autobiografia giovanile Ich nicht. Erinnerungen an eine Kindheit und Jugend (Io no. Ricordi di un’infanzia e gioventù), in uscita dalla «sua» casa editrice Rowohlt, di cui ora il «suo» giornale, la Frankfurter Allgemeine Zeitung anticipa ogni giorno da una settimana la pubblicazione integrale. Per vent’anni Fest ha diretto il mitico Feuilleton della Faz, dopo aver diretto i servizi culturali della Ndr di Amburgo, una delle più importanti reti radio-televisive tedesche. Una direzione che Fest, iscritto alla Cdu, aveva abbandonato perché non voleva sottostare alle pressioni del suo «partito di riferimento».
E sempre nelle scorse settimane Fest aveva preso posizione assai critica nei confronti di Grass e della sua «omissione». Ruggine antica quella tra lui e il premio Nobel, eterni duellanti, quasi coetanei, - Fest era nato l’8 dicembre 1926 a Berlino, Grass il 16 ottobre 1927 a Danzica -, entrambi tipici rappresentanti della Germania del dopoguerra: quella plebea, protestataria, rumorosa, accusatoria di Grass, che lanciava le sue denunce durissime contro tutti coloro che, a parer suo, si fossero macchiati di collaborazionismo nazista.
Ben diverso lo stile di Fest: era uno studioso che sapeva coniugare il severo compito della ricerca con l’impegno pubblico. Questo intellettuale dalla figura distinta, sobriamente elegante, nordicamente longilineo, già dall’aspetto compito e dignitoso lasciava trasparire un ordine intellettuale radicato nella tradizione e nell'etica conservatrice, che lui poteva trasgredire in nome di una assoluta libertà interiore che l’avvicinava alla figura dell’«anarca» di Ernst Jünger, di cui fu estimatore. Fest aprì le pagine della cultura della Faz a tutte le voci, da quella della protesta morale antiautoritaria di Heirich Böll a quella di Ernst Nolte che proprio su quelle pagine aprì nell’autunno del 1986 il celebre Historikerstreit, che è all’origine dell’infinita querelle sul revisionismo storico.
Cattolico di Berlino (città fortemente luterana) proveniva da una famiglia piccolo-borghese, il padre insegnante preferì l’indigenza all’adesione, sia pure formale, al partito nazista. Quegli anni duri eppure luminosi per Fest sono ora rievocati nella sua stupenda autobiografia giovanile che ci mostra la società tedesca di un’altra Germania, ben diversa da quella di Grass o di Christa Wolff e di tanti altri che aderirono al nazismo. Il giovane Fest entrò nella Wehrmacht, nell’esercito per evitare di essere arruolato nelle SS, mentre Grass vi andò addirittura volontario. Pur ignorando il passato dello scrittore, Fest polemizzò da sempre con Grass, talvolta ferocemente come quando affermò che da Grass non avrebbe comprato nemmeno un’auto usata. Grass si vendicò quando Fest nel 1999 pubblicò la discussa e discutibile biografia di Speer, «l’architetto del diavolo», un libro assai comprensivo nei confronti del nazista gentiluomo, di cui Fest indaga forse con eccessiva simpatia, ma con una straordinaria capacità analitica, il legame omoerotico con il Führer.
Fest è stato uno dei principali storici del nazismo, la sua monumentale biografia di Hitler resta un'opera indispensabile, come pure i suoi numerosi saggi sul Terzo Reich. Fest appartiene alla grande tradizione degli storici tedeschi che sono stati anche maestri di stile letterario come Mommsen, Gregorovius, Ranke.

E l’altro polo di questo aristocratico liberale e intellettualmente anarchico è stato il suo sincero interesse, storico e ancor più umano, per la cerchia dei militari prussiani intorno a Stauffenberg, al nobile colonnello che il 20 luglio 1944 tentò invano di riscattare l’onore perduto dell’esercito tedesco liberando la Germania da Hitler.

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