Due penne «rosse» dietro gli uomini nuovi del Carroccio

Roberto Bolis e Giampiero Beltotto. Uomini ombra di due leader della Lega alla conquista del Veneto: e non solo. Due giornalisti con una storia che, considerato il politico con cui trascorrono le ore, non ti aspetteresti mai.
Bolis conosce Flavio Tosi nel 2005, quando il futuro sindaco più amato d’Italia (sondaggio Sole-24 ore del gennaio scorso) era assessore regionale alla Sanità. Fiorisce un legame che definirlo stretto, sarebbe annacquare una trama ben più complessa, e sparger acqua non è azione simpatica per questo uomo verace che gira con un grande cappello, visto che da buon cronista enogastromomico ama il vino suadente, soprattutto se rosso. Rosso è anche il colore da lui a lungo più amato. Sessantaquattro anni da poco compiuti, Bolis diventa giornalista all’Unità e se gli si chiede: ma è vero che lei ha un passato di sinistra? Risponde: «Ho fatto politica attiva nel Partito comunista fino al 1990. Chiamalo passato». Padovano, «emigrato» a Treviso e ora a Verona, si definisce «un professionista, a cui hanno dato da seguire un tipo pragmatico in Regione. Poi non sono più riuscito a staccarmi, perché Tosi, come la Lega, è l’identità più giovane della passione politica più antica».
In una giunta scaligera dove una sola quota rosa dà conto del genere femminile con l’assessore alla Cultura Erminia Perbellini, le stanze del capufficio stampa del sindaco sono note perché le redattrici sono tutte donne, tanto per portare avanti un principio dialettico di differenza, che a partire dalla politica a Bolis piace, se anche recentemente ha affermato: «Sto bene dove c’è vita, c’è fermento. Una volta la sinistra era innovazione. Ora che che caspita è?».
Non è mai stato marxista invece Giampiero Beltotto, romano, cinquantasei anni, immagine allo specchio del candidato alla presidenza della Regione, il ministro Luca Zaia. Ma se qualcuno combina ancora l’equazione: Lega, divinità pagane, partito anticattolico, a quel signore consigliamo di contare i numeri di Beltotto. Formatosi alla scuola di monsignor Giussani, giornalista dell’Avvenire, lascia Cl e entra in Rai nella cerchia di Biagio Agnes, fino a diventare capo della redazione regionale veneta di Raitre. Agli amici confessa: «Sono un paladino della sinistra cristiana, sociale e montiniana».
Romanista e musicologo, conosce Zaia per caso durante un’intervista. I discorsi sulla cultura, l’unanimità su un concetto: la profonda diffidenza verso l’ideologia di una società tecnologica dilagante, la corsa senza risparmi in una politica giocata sul contatto di pelle, subito li accomuna. Se si domanda a Beltotto: ma che cosa ha trovato un papalino di sinistra in un leghista? ecco la risposta: «Amore per il popolo». Se invece gli si dovesse far scegliere il miglior Papa, nessun dubbio: quello presente, figliuoli, sempre quello presente.

Giornalista senza catene o legami territoriali, in realtà anche Beltotto alla fine segue il possibile «vincitore» delle Regionali 2010, in nome di una parola semplice, agricola, veneta e latina, in una definizione: virgiliana. Radici. Agnes lo portò a Venezia, e forse ora ce lo riporterà Zaia. Se i nostri pregiudizi sono parole sfinite e incapaci di scorgere i destini incrociati, le vie del Signore...

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