Vite avventurose, da romanzo, da film, con il lieto fine degli altari. Tre persone con cammini diversi: il confessore celebrato da Manzoni, la suora angelo di San Vittore, il missionario tra gli orfani della Birmania. Don Serafino Morazzone, suor Enrichetta Alfieri e padre Clemente Vismara saranno beatificati insieme domenica 26 giugno alle 10 in piazza Duomo. E già in piazza Duomo c’è il tutto esaurito: tutti prenotati gli 8mila posti a disposizione, in migliaia assisteranno alla cerimonia.
A presiedere la liturgia il cardinale Dionigi Tettamanzi e il cardinale Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle cause dei santi. «La loro varietà li rende affascinanti e preziosi: davvero infinita è la fantasia di Dio e infiniti i sentieri sui quali ci chiama» è la frase scelta da Tettamanzi per raccontare quel che unisce i tre beati.
Suor Enrichetta, nata a Borgovercelli, per trent’anni operò nel carcere di san Vittore. Durante la seconda guerra mondiale fu arrestata a causa dell’aiuto che dava ai prigionieri vittime della violenza nazifascista. Tra i testimoni dell’operato della suora Daniela Bongiorno, la moglie di Mike, che con il figlio Nicolò ha ricordato l’incontro tra suor Enrichetta e Mike nel carcere di san Vittore nel 1944. Fu grazie a lei che Bongiorno, detenuto a san Vittore, riuscì ad incontrare la madre in segreto.
Padre Clemente Vismara nato ad Agrate Brianza nel 1897, è stato missionario in Birmania per 65 anni. Si dedicò ad educare i piccoli orfani. Nel 1948, quando vennero espulsi i religiosi stranieri, lui decise di restare, pur sapendo che non avrebbe più potuto lasciare il Paese, dove è morto nel 1988. A cavallo dell’Ottocento la storia di don Serafino Morazzone, il beato curato di Chiuso, morto nel 1822, ricordato da Alessandro Manzoni nel Fermo e Lucia, la prima stesura dei Promessi Sposi. «Era profondamente umile senza sapere di esserlo» ha scritto di lui il Manzoni. Tettamanzi ricorda che don Serafino «è una delle prime figure di cui mi hanno parlato in seminario». A breve sarà nominato il suo successore e l’arcivescovo sorride a chi gli chiede se questa sarà l’ultima celebrazione: «Penso proprio di non morire. Fatemi gli auguri di vita lunga». E ancora: «Lo sa il Padreterno, lo sanno i superiori. I giornalisti tante volte azzeccano ma tante altre no». Istigato dai cronisti, scherza sul vescovo di Milano che si chiamava come lui, il cui successore fu soprannominato l’usurpatore. «Quel Dionigi fu mandato in esilio e il suo successore (che il cronista ha ricordato diventò noto come «l’usurpatore», ndr) era un vescovo ariano, eretico: e comunque il corpo di San Dionigi è nel Duomo di Milano».
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