La strada è battuta dal sole, scura, asciutta. Un fiume immobile anche nel tempo, che non è riuscito a cambiarla. S'infila tra palazzi di un bianco abbagliante e palme anonime, ossute, ma che puntano al cielo. Qui il mese di aprile sembra già Ferragosto. In effetti c'è una chiesa - blindata, in questo mattino feriale, se non fosse che ai giornalisti curiosi, se chiedono con cortesia, un'occhiata è concessa - e dietro quella porta, il parroco è italiano. Si chiama Franco Falconi, ha sessantasei anni. Intorno a lui, Mantova. O meglio, «Mantua». La Mantua di Cuba. Sul lato settentrionale di un fiume che porta il suo nome, tra i quattordici comuni di Pinar del Río, questo posto ha quattrocento anni: oggi si estende su 914 chilometri quadri, dei quali 15 sono isolette separate dal centro, da poco oceano. Gli abitanti sono 27mila. Qualcuno ha ancora il cognome, deformato dallo spagnolo d'America, di quei marinai veneti e liguri che per primi misero piede qui. O di qualche emigrante meridionale, se si considera che i signori Pitaluga (quelli che abitano tra gli «Arroyos de Mantua») una volta magari si chiamavano «Pittalunga», come le focacce del Sud d'Italia.
Furono i reduci del brigantino Mantova (intorno al 1610), naufragato vicino a Cuba, a fondare la colonia. Resistente, sia pure piccola, alle asperità di un'isola disorganizzata e inondata da malattie. Storia recente (cioè la fine dell'Ottocento) vede la comunità italiana sballottata tra consolati di nazioni diverse, pessime gestioni dei propri interessi, diritti quasi inesistenti. E il lavoro ridotto a qualche stagione dell'anno. Non era certo il Nord America, L'Avana: tra due guerre d'Indipendenza (a sostegno di Cuba, si arruolarono anche quegli italiani): ma comunque un porto per l'Italia disperata, espatriata e senza meta. L'emigrazione degli italiani, alla fine del secolo scorso, i cubani la definirono «golondrina», cioè come quella delle rondini: a caccia della stagione giusta per braccianti, operai, commercianti più o meno raffazzonati. E oggi? Come i «super-batteri», mescolati con gli autoctoni ma consci di una identità che ha le radici oltreoceano, ci accolgono, ci guardano, ci rispondono. È una «terra di bravi signori e bellissime donne», suggerisce Cristina, habanera purosangue, interprete che a Mantua ha parenti, persone che non vede dal 2005, perché il viaggio per Mantua è tortuoso, i mezzi di trasporto scomodi e antiquati. Si domanda se siano vivi. Ha un caro amico, lo scrittore Enrique Pertierra, che sulla lunga storia di Mantua ha scritto un bel libro: Mantua en Cuba, entre la historia y la leyenda, un tomo dalla copertina usurata (è una copia personale dello scrittore, quella che ci viene mostrata), il disegno di un vascello dalle vele spiegate e il sottotitolo in italiano. Enrique ha cinquantacinque anni, i capelli lunghi di una spuma bianchissima, gli occhiali scuri.
La famiglia Pitaluga, che vive e lavora con orgoglio nei suoi campi assolati, fecondissimi, si lascia intervistare con entusiasmo. «Il bello delle donne qui? - osserva la giovane Isenia Idelys - siamo persone semplici, di grande umiltà. Buone di animo». E a giudicare dallo sguardo fermo, da questa bellezza delicata e brunissima, un po' mortificata, è un'osservazione che ispira fiducia. «Mantua è un luogo stupendo per una donna - continua - però, certo, se si potesse fare qualcosa altrove...».
L'economia, qui, ruota in massima parte attorno all'agricoltura: la percentuale del territorio urbanizzata arriva sì e no al 36,9%. Tabacco, legna e derivati (come la resina), prodotti ceduti alla spiaggia dall'oceano. Se si chiede a Isenia, che tanto ama la sua terra, perché in Italia se ne sappia poco e niente, fa spallucce sorridendo: «Beh. Perché è lontana». Te la immagini Cuba in mano a una donna, Isenia? «Certo. Un giorno. Gli uomini non hanno niente che manchi a noi, e noi... siamo forti». «E preparate» aggiunge la signora Gardenia Pitaluga, con un sorriso fiero.
Noel Pitaluga Escandel è un ragazzo senza un capello sulla testa. «Mio nonno ci ha sempre detto che siamo per metà italiani», dice. Produce tabacco ma si sente un pittore. L'Italia attraverso i suoi occhi? «Un padre e una madre sconosciuti. Che si amano a prescindere». Nulla da aggiungere. La politica? Non sfiora la sua mente, o semplicemente non c'è verso che passi per la sua bocca. E siccome corre voce, a Cuba, che Roberto Benigni voglia istituire a L'Avana un'associazione intitolata a Dante Alighieri (sarà vero?), Noel dice di non avere dubbi: i cubani la ameranno. Ma le signore qui non conoscono Beatrice: adorano Rita Pavone.
Il parroco della chiesa Nuestra Señora de Nieves è di Verona. Sostituì un frate autoctono, infortunato per due mesi. Ci è tornato per altri nove. È nell'archivio della parrocchia - un diario di bordo - che si legge di questo «pueblecito simpático y pintoresco», di lavoratori instancabili.
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