Roma La linea delle mani libere aveva fatto storcere la bocca a più di un dirigente dell’Udc. In molti avrebbero preferito una scelta netta. E oggi, alla vigilia del voto, le perplessità si stanno trasformando in timori di una débâcle politica e tattica. Il partito centrista si sta giocando tutto e, dopo mesi di consensi in crescita grazie a una posizione favorevole, fuori dalle risse tra i due poli e contro il «bipolarismo muscolare», rischia di pagare a caro prezzo la scommessa del «solo con noi si vince».
Che questa tornata elettorale non si annunci come un trionfo dello scudo crociato si capisce dalle parole del leader Pier Ferdinando Casini: «Una campagna penosa», ha detto ieri a un comizio; passaggio chiave di un discorso tutto in chiave anti Berlusconi. Il premier, secondo il leader centrista, è «un misto di disperazione e confusione» perché ora attacca l’Udc, ma prima li cercava. L’insofferenza degli alleati dell’Udc, resa esplicita dal premier in questi ultimi giorni prima del voto, l’ha sintetizzata Vittorio Sgarbi che nel Lazio corre per la Polverini. «Votare Udc equivale a votare un separato in casa, perché transita da una parte all’altra».
Il fatto è che, dai sondaggi che circolano nelle sedi dei partiti in queste ore, l’Udc emerge più come un fastidio che come l’ago della bilancia delle maggioranze future. Il partito di «Pierfurby» aveva scelto le alleanze, ora con il centrodestra, ora con il centrosinistra, sempre con un occhio ai sondaggi. Ha puntato su cavalli dati per vincenti, ma molte delle regioni nelle quali si davano per scontati i risultati, ora risultano in bilico. È testa a testa in Puglia, dove il presidente uscente Nichi Vendola sembrava imbattibile rispetto a Rocco Palese, candidato del centrodestra che l’Udc si è rifiutato di appoggiare. Da giocare, per le note vicende politico-giudiziarie, anche la partita del Lazio tra Renata Polverini ed Emma Bonino, che ha visto l’Udc schierato da subito con la ex sindacalista.
E, quello che è peggio, è in bilico anche il Piemonte, forse la scelta più sofferta dei centristi. A Torino l’Udc sostiene Mercedes Bresso, esponente del Pd e punto di riferimento dei laici del centrosinistra. L’appoggio alla sua candidatura è costata al partito cattolico più delle previsioni. L’ultimo appello dei vescovi, quello del voto basato sui «principi non negoziabili» in cui crede la Chiesa, se può avvalorare la scelta dell’Udc nel Lazio, suona decisamente male per i centristi del Piemonte. Se la Bresso dovesse perdere per l’Udc la sconfitta sarà doppia.
Uno degli asset principali dell’Udc, il rapporto con la Chiesa, sembra essere venuto meno a causa dell’alleanza dei centristi con la sinistra piemontese e per il «voto inutile» - definizione del premier Silvio Berlusconi - che rischia di riconsegnare la Puglia all’esponente della sinistra radicale Nichi Vendola. Se vincerà, l’Udc avrà contribuito alla vittoria di un politico lontano dalle posizioni della Chiesa, se vincerà Palese e il centrodestra, sarà la dimostrazione che il partito dello scudo crociato non è determinante nemmeno nel Sud. Per l’Udc non sarà comunque una vittoria.
L’altro asset che sembra evaporare man mano che si avvicina il voto è quello delle mani libere. Da condizione di forza, il poter scegliere l’alleato di caso in caso, si sta rivelando una debolezza. Casini non ha potuto non chiudere la campagna elettorale attaccando la Lega Nord, accreditando l’Udc come «unico baluardo» contro il partito di Bossi, che però è parte integrante del centrodestra. A sinistra, Pier Luigi Bersani fatica a fare passare, nel Partito democratico e nella coalizione, l’idea che i centristi servano.
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