Nello scrivere a proposito del libro La guerra dei trentanni. Politica e televisione in Italia (1975-2008) (Einaudi, pagg. XIII-303, euro 19) di Franco Debenedetti e Antonio Pilati - ma in questa pagina mi occuperò solo del secondo - devo premettere di essere stato (sia pur lievissimamente e per brevissimo periodo) maldisposto verso uno dei due autori, lautorevole commissario allAntitrust Pilati, perché mi ha invitato a una presentazione del suo saggio dove oltre a lui e altri eccellenti discussori come il co-autore Debenedetti, Fedele Confalonieri, il perfetto moderatore Ferruccio de Bortoli, è intervenuto anche un Walter Veltroni, ormai libero da responsabilità politiche e dunque ancora più retorico del solito, che ha descritto la lunga guerra sulla tv del Pci, poi Pds, poi Ds, poi Pd come una grande battaglia «liberale» per le «regole».
Meno male che, a superare lirritazione che mi provoca spesso lineffabile ipocrisia veltroniana, Pilati ha tirato fuori un perfetto esempio di complessità del reale: roba forte che funziona sempre come antidoto di banalità e retorica. Ha ricordato come in Italia vi sia un settore televisivo in cui la liberalizzazione è avvenuta in modo - parole pilatiane - selvatico, con regole appiccicate dopo le trasformazioni determinate dai soggetti del mercato. Questo «modo» ha consentito una perfetta competizione negli anni Ottanta, unapertura stabile (eufemismo per definire lo sforzo eroico della tv privata sotto bombardamenti di tutti i tipi) di un sistema misto negli anni Novanta, lentrata a piene vele grazie al governo di centrodestra della corazzata murdochiana nel 2003 come terzo grande soggetto del sistema televisivo. Invece nellaffine settore delle telecomunicazioni, le cose sono andate come leggiadramente chiede Veltroni: si sono fissate regole e authority, poi si è privatizzato Telecom Italia e ora ci si trova un mercato fiacco, con lex monopolista incombente e scarsa dinamicità industriale del comparto.
La virtù di Pilati è esporre i fatti senza arroganza ideologica, con maestria logica che parla per se stessa. In questo senso La guerra dei trentanni è un libro esemplare, e la parte pilatiana merita di essere degustata con particolare cura.
Ricche le annotazioni politiche che accompagnano il racconto della guerra sulla tv durata trentanni, fra un provvedimento legislativo sulla tv e un «balzo» produttivo dei mezzi di comunicazione. Esemplare quella sui rapporti fra Dc e Pci negli anni Settanta: mentre in Occidente tra le grandi forze di governo e le principali forze dopposizione cera convergenza sui grandi principi (sistema liberale, economia di mercato, difesa del mondo libero) e scontri anche duri sulle questioni di gestione corrente, in Italia i due capigruppo della metà degli anni Settanta, Giulio Andreotti e Pietro Ingrao, si contrapponevano sui principi e filavano damore e daccordo sulla «gestione» (tipo spartizione della Rai).
Convincente la ricostruzione degli anni Ottanta: quando il Pci berlingueriano ha lencefalogramma piatto e per disputarsi la sua copiosa eredità scendono in campo Bettino Craxi e Eugenio Scalfari. Vince questultimo ma eredita solo macerie. Macerie che i legittimi eredi, DAlema e Veltroni, non sono capaci di restaurare quando se ne presenta loccasione. Televisivamente parlando Pilati legge così labbandono della buona legge Maccanico e la scelta veltroniana di appoggiare Leoluca Orlando come presidente della commissione vigilanza della Rai. Chance di Walter & Max per cambiare qualcosa, però lasciate per strada. Ma lanalisi del libro non è centrata solo o principalmente sulla politica. Excursus di respiro riguardano il rapporto tra grande distribuzione e mezzi di comunicazione.
Se nellanalisi politica Pilati dà dei punti ai migliori specialisti, in quella sulla realtà industriale del prodotto televisivo dà la birra a tutti. Leggetevelo.
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