E la Corte di Cassazione dà lezioni di giornalismo al Fatto Quotidiano...

Rigettato un ricorso di Peter Gomez per una causa di diffamazione del premier. La Corte: "Il compito del giornalista è quello di dare notizie, ma un cronista non può mai suggestionare"

E la Corte di Cassazione 
dà lezioni di giornalismo 
al Fatto Quotidiano...

Roma - Il compito del giornalista è quello di dare notizie, ma un cronista non può mai suggestionare i cittadini. L'assioma sembra scontato, ma di questi tempi il giornalismo militante miete vittime. La Corte di Cassazione tira le orecchi al Fatto Quotidiano. Troppo spesso, l'edicola diventa un'aula di tribunale e si propone ai lettori "un processo agarantista" dinanzi al quale l'imputato ha come unica garanzia di difesa, la querela per diffamazione" L'Alta Corte rigetta così il ricorso del giornalista Peter Gomez contro la sentenza con cui la Corte d’Appello di Roma aveva dichiarato prescritto il reato di diffamazione ai danni del presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi.

Le competenze dei giornalisti La quinta sezione penale della Suprema Corte ha ribadito, con la sentenza numero 3674 depositata oggi, che "è diritto della collettività ricevere informazioni su chi sia stato coinvolto in un processo penale o civile, specialmente se i protagonisti abbiano posizioni di rilievo nella vita sociale, politica o giudiziaria". Proprio per questo "rientra nell’esercizio del diritto di cronaca giudiziaria riferire atti di indagini e atti censori, provenienti dalla pubblica autorità, ma non è consentito effettuare ricostruzioni, analisi, valutazioni tendenti ad affiancare e precedere attività di polizia e magistratura, indipendentemente dai risultati di tali attività".

A ciascuno il proprio compito Insomma, "a ciascuno il suo", scrivono i giudici di Piazza Cavour. "Agli inquirenti il compito di effettuare gli accertamenti, ai giudici il compito di verificarne la fondatezza, al giornalista il compito di darne notizia, nell’esercizio del diritto di informare, ma non di suggestionare, la collettività". Infatti, si legge ancora nella sentenza, "è in stridente contrasto con il diritto-dovere di narrare fatti già accaduti, senza indulgere a narrazioni e valutazioni 'a futura memoria', l’opera del giornalista che confonda cronaca su eventi accaduti e prognosi su eventi a venire: in tal modo egli, in maniera autonoma, prospetta e anticipa l’evoluzione e l’esito di indagini in chiave colpevolista a fronte di indagini ufficiali né iniziate nè concluse, senza essere in grado di dimostrare la affidabilità di queste indagini private e la corrispondenza a verità storica del loro esito".

I rischi per il cittadino La Cassazione spiega infatti che "si propone ai cittadini un processo 'agarantista' dinanzi al quale il cittadino interessato ha come unica garanzia di difesa, la querela per diffamazione".

Condivisibile, dunque, osservano gli ermellini, il verdetto di giudici d’appello, che avevano escluso nel caso in esame il corretto esercizio del diritto di cronaca: "Il giornalista ha integrato le dichiarazioni della fonte conoscitiva con altri dati di riscontro, realizzando la funzione investigativa e valutativa rimessa all’esclusiva competenza dell’autorità giudiziaria" e "l’assenza di verità dei fatti narrati", cioè di "finanziamenti di provenienza mafiosa all’ascendente manager dell’informazione e del trattenimento televisivi", conclude la Suprema Corte, "comporta l’evidente carica diffamatoria della narrazione e la totale assenza di evidenza del corretto esercizio del diritto di cronaca giudiziaria". 

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