nostro inviato a Castrocaro Terme (Forlì)
Può la tradizionale devozione della Via Crucis essere definita espressione di un «disegno criminoso»? Può uninnocua sequenza di «stazioni» che ricordano la passione di Cristo, composta da qualche piccola lapide, bassorilievo e lumino, sistemata in privatissimi terreni agricoli dai loro legittimi proprietari, diventare «un pericolo per la salute e lincolumità fisica» delle persone? In Italia si aprono discoteche che costringono interi quartieri a sorbirsi, loro malgrado, i decibel dordinanza; cè chi alleva abusivamente tigri o serpenti nel giardino dietro casa, chi celebra messe nere. Cè chi prega Allah a cielo aperto, sul pubblico marciapiede. Ma realizzare sulla tua proprietà uninnocua Via Crucis, no, questo non puoi farlo. E se lo fai, si trova sempre un magistrato pronto a sentenziare che quella pratica devozionale rappresenta un «disegno criminoso».
Quella di Ortensio Sassi, Maria Grazia Zaccaria, Roberto Albertelli e Dolores Coleschi è una storia paradossale. Dal 2003, le due coppie, abitanti nella campagna di Castrocaro Terme, hanno «installato» una Via Crucis, con le tradizionali quindici stazioni, e una croce alta sette metri e illuminata al neon (ma che si spegne puntualmente a mezzanotte). Tutto ciò allinterno di un terreno agricolo di proprietà e con tanto di autorizzazioni dellamministrazione comunale. E dopo aver avvertito il vescovo e il parroco, che nulla avevano, né potevano avere, in contrario. Ogni venerdì sera, ad esclusione del Venerdì Santo - quando le famiglie partecipano alla funzione in parrocchia - i Sassi e gli Albertelli radunano un gruppetto che varia da cinque a quindici persone, e dalle 21 alle 22.15 percorrono, pregando, i circa 550 metri di viottolo lungo cui si snodano le stazioni. Le auto dei presenti vengono parcheggiate in unarea predisposta a questo scopo nella proprietà degli Albertelli fin dal 1988. In occasione della prima Via Crucis, il 1° venerdì di settembre 2003, la signora Coleschi ha avvisato la polizia municipale di Castrocaro, informando che la preghiera ci sarebbe stata ogni venerdì. Quella prima sera, una pattuglia di vigili urbani aveva percorso lentamente la strada privata che attraversa le proprietà delle famiglie per osservare quanto stava accadendo.
Che cosa può esserci di male, vi chiederete, in un gruppuscolo di fedeli che decide di ricordare ogni settimana la morte di Gesù, leggendo brani del Vangelo? A cinque vicini, la storia non è proprio andata giù. Per loro, quelle piccole lapidi e quel viottolo rappresentano una minaccia. Così hanno presentato un esposto, scrivendo che «la tranquilla amena località... subiva profondi, ma innaturali mutamenti, destinati ad incidere pesantemente sulla vita quotidiana dei residenti e con ripercussioni sulle proprietà di questi ultimi... Sembra che abbiano intrapreso il progetto di trasformare la zona in zona di culto». Nellesposto, i cinque firmatari chiedono alla magistratura di «accertare lavvenuta modifica dello stato morfologico dei luoghi, nonché il conseguente disagio ambientale», e pure i disagi derivanti dallaver trasformato - affermano - «un paesaggio da agricolo a pubblico». Peccato che il terreno pubblico non sia, ma si tratti di proprietà privata. Infine, i firmatari chiedono alla Procura di Forlì di accertare «la ricorrenza di condizioni di pericolo per la salute e lincolumità fisica e il patrimonio».
Sembra incredibile, eppure il Tribunale ha condannato le famiglie Sassi e Albertelli, con decreto penale del 15 settembre 2006, per aver realizzato la Via Crucis in casa loro. Sarebbe come se un giudice condannasse qualcuno per aver installato un «percorso-vita» nel bosco di proprietà dietro casa, o per aver esposto variopinti nanetti o puffi nel viottolo che porta al garage. «In nome del popolo italiano», il giudice Giovanni Trere, ha giudicato i quattro promotori colpevoli di «reato continuato» (art. 81 del codice penale), «disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone» (art. 659), mancato «avviso al Questore». Avrebbero agito «operando in concorso tra di loro ed in esecuzione di un medesimo disegno criminoso» realizzando «strutture di carattere religioso». Gli interessati, ai quali è stata comminata unammenda di mille euro a testa ed è stata proposta lestinzione della pena grazie allindulto, hanno invece fatto ricorso.
«La sentenza - spiega al Giornale Ortensio Sassi, di professione analista informatico - non ha tenuto conto che la croce e il terrapieno per il parcheggio sono stati realizzati nella proprietà privata e con autorizzazioni comunali; che non doveva essere avvisato il Questore perché la Via Crucis non si svolge in luogo pubblico ma in un terreno agricolo privato, che le stazioni, cioè le lapidi sono un libero arredo in proprietà privata. Quanto al disturbo del riposo delle persone, beh, deve sapere che uno dei firmatari abita a Bologna, altri due a ben 100 metri dal luogo del nostro passaggio».
Cè di più.
Andrea Tornielli
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.