Non se ne parla molto, comunque non abbastanza, ma in giro per ospedali italiani si sta lentamente affermando un fenomeno piuttosto inquietante, almeno per noi che prima o poi ci ammaliamo. Il fenomeno è questo: risulta sempre più difficile trovare bravi chirurghi che si assumano le responsabilità - e gli inevitabili rischi - degli interventi meno banali. Li stiamo trasformando lentamente in infermieri altamente specializzati, prontissimi a sbrigare l’ordinaria amministrazione, ma titubanti di fronte alla minima possibilità di insuccesso. Non è colpa, o non solo, dell’appiattimento di una nobilissima professione: è anche colpa nostra, della cosiddetta utenza. Ormai l’ha imparato anche l’ultimo analfabeta delle estreme praterie: a fine ricovero, meglio fare un salto presso il Tribunale del malato. O comunque da un buon avvocato. Qualcosa si può spuntare: il giudice italiano è sempre molto umano, anche perché si ammala pure lui, per cui difficilmente nega al paziente un risarcimento danni. Ovviamente - volendomi evitare valanghe di lettere di medici e tribunali del malato - sto estremizzando. Diamo per certo che tanti medici non esitano ad assumersi il rischio più estremo nell’intervento più delicato, a costo di vedersi poi trascinati in un processo. E diamo per certissimo che i tribunali del malato non sposano cause che non siano sacrosante. Però...
Però è un discorso che aleggia in tante corsie d’ospedale: il vecchio e accidioso «ma chi me lo fa fare». Chi glielo fa fare di avventurarsi in certi interventi, sapendo che bisogna passare dalla sala operatoria al palazzo di giustizia. L’esempio più lampante: è quasi impossibile, ormai, trovare bravi medici che accettino di operare i malridotti ospiti delle case di riposo, diciamo gli «over 80». Il gioco, detto brutalmente, non vale la candela. Come mai questa strana tendenza, così lontana dal giuramento di Ippocrate, cioè dall’idea che qualsiasi medico dovrebbe tentarle tutte, pur di guarire un malato? È il contrappeso inevitabile della malasanità: chiamiamola pavidasanità. A forza di avviare doverosi processi contro la superficialità e la sciatteria di una certa sanità, ormai l’andazzo si è estremizzato in senso opposto. Facciamo causa su tutto e per tutto, anche quando l’errore fa parte del gioco, com’è normale in un settore acrobatico quale è da sempre la medicina.
In questa cornice si inseriscono ogni giorno sentenze che spostano sempre più in alto l’asticella, nell’ormai epica lotta tra diritti del malato e doveri del medico. Il tribunale di Tolmezzo ha condannato l’ospedale di San Daniele a pagare il mantenimento di un bambino nato dopo l’intervento di sterilizzazione della mamma. La signora, che a casa aveva già cinque figli, si era rivolta ai medici per chiudere chirurgicamente la florida carriera, ma evidentemente qualcosa è andato storto. Il sesto erede è puntualmente arrivato. Lei ha deciso di tenerlo, ma al tempo stesso ha avviato la causa. L’ospedale ha provato a dire che la donna, firmando il consenso, era consapevole anche dei rischi, ma il giudice evidentemente non ha condiviso: l’intervento è fallito, la mamma è obbligata a tenersi la sesta creatura, l’ospedale dovrà mantenerlo «fino all’indipendenza economica». Non è chiaro come la giustizia abbia potuto quantificare questo mantenimento in 150mila euro, se considerando l’ipotesi ottimistica del bambino che va subito a lavorare dopo la scuola dell’obbligo, oppure quella del bamboccione che non si schioda dalla famiglia prima dei trent’anni. Ma questo è solo il lato misterioso - e decisamente surreale - delle sentenze d’avanguardia.
Giusto o sbagliato? Il tema è ritagliato su misura per spaccare in due l’opinione pubblica. Certo infliggere un sesto figlio a una coppia che già ne ha cinque non è incidente da niente. Ma, altrettanto certamente, l’idea che un ospedale non debba limitarsi a un equo e sensato risarcimento danni, come quando il chirurgo concentrato sull’assemblea condominiale o sulle minacce dell’amante ci lascia un trinciapollo sottocute, questa idea è molto nuova e molto ardita.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.