Roma - Abolizione a metà per le province. Al loro posto arrivano le unioni dei comuni, le aree metropolitane o comunque degli organismi che saranno definiti, con ampi spazi di libertà, dalle regioni. Il consiglio dei ministri ha dato il via libera al disegno di legge costituzionale sull’abolizione dell’ente intermedio tra i comuni e le regioni, che come previsto non riguarda Trento e Bolzano. Il testo entrato al consiglio è cambiato e non sono mancate tensioni in consiglio dei ministri. Alcuni esponenti del Pdl, ad esempio il responsabile dei Beni Culturali Gianfranco Galan, hanno espresso perplessità. Rispetto alle anticipazioni non c’è infatti la soppressione delle province. La formula individuata dal governo punta, se e quando saranno superati tutti i complessi passaggi delle leggi costituzionali, a cambiarle profondamente, trasformandole da enti statali quali sono in Costituzione, in enti regionali. Diventeranno, per usare il termine coniato da Caderoli, delle «province regionali». E alle regioni ordinarie saranno dati poteri simili a quelli che hanno quelle a statuto speciale nel decidere l’ordinamento dei propri enti locali. Una «evoluzione federalista» dell’ordinamento, ha spiegato il ministro della semplificazione.
Possibile che prendano la forma di aggregazioni di comuni. Quindi organismi che decidono sui servizi che riguardano territori di comuni vicini (praticamente solo viabilità, gestione delle acque e smaltimento dei rifiuti), ma non hanno struttura. Ma le regioni potranno anche decidere di farne degli enti locali veri e propri, definendone «gli organi, le funzioni e la legislazione elettorale». Potrebbero quindi essere dotati di un consiglio eletto dai cittadini, un presidente e una giunta, come le attuali province.
In Costituzione, secondo il disegno di legge, rimarranno i comuni, le regioni e le Aree metropolitane. Le province verranno cancellate da tutti gli articoli in cui sono citate. Le regioni dovranno decidere entro un anno dall’approvazione cosa fare, in caso di inerzia nello stesso territorio della provincia verrà costituita una unione di comuni. Cioè l’organismo minimo, che consiste di fatto in un coordinamento delle politiche delle amministrazioni locali dei municipi, senza strutture amministrative pesanti né assemblee elettive. Al posto della provincia, la Regione potrà ad esempio prevedere il varo di un’area metropolitana, ente in via di realizzazione dal 1990, che serve a coordinare i servizi di aree che comprendono un grande centro e i comuni limitrofi.
L’obiettivo è una «significativa riduzione delle spese» e la nascita di un «modulo organizzativo e funzionale più flessibile ed efficace», si legge nella relazione tecnica. I risparmi dovrebbero arrivare soprattutto dalla riduzione del personale politico provinciale che costa in tutto 112 milioni all’anno.
Un intervento soft rispetto alle previsioni, che però è sembrato troppo incisivo ai rappresentanti degli enti locali che hanno annunciato, anche su questo capitolo, una mobilitazione. «Visto che il governo non ha voluto ascoltarci, ora spostiamo la nostra battaglia in parlamento; siamo sicuri che troveremo ascolto», ha annunciato il presidente dell’Upi, Giuseppe Castiglione. L’Unione delle province ha calcolato che il provvedimento non porterà risparmi, ma aumenterà i costi di 600 milioni, prevedendo non la soppressione tout court, ma la loro sostituzione con «associazioni di comuni» e «il passaggio di 60mila dipendenti alle regioni, con un aumento di stipendio del 25%».
Regioni, comuni e province sono sul piede di guerra più per i tagli che per il ddl costituzionale. Tra una settimana i Comuni consegneranno al governo le deleghe sull’anagrafe, mentre i governatori restituiranno quelle sul trasporto locale.
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