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E per la formazione professionale la Sicilia butta a mare fondi europei per 690 milioni di euro

Nell'isola il settore è un industria da ottomila dipendenti Ormai alla paralisi dopo una raffica di scandali, processi e condanne

E per la formazione professionale la Sicilia butta a mare fondi europei per 690 milioni di euro

È una delle maggiori industrie siciliane: la formazione professionale, snodo fondamentale per facilitare l'accesso al lavoro, occupa nell'isola più di ottomila persone. Per un certo periodo i finanziamenti a pioggia hanno garantito al settore un vero e proprio boom: un ente formativo come il Cefop (oggi rinato come Cerf dopo essere stato travolto dai debiti e dopo un salvataggio stile Alitalia) e arrivato ad avere 1.200 dipendenti. In anni più recenti, però, a dominare le cronache sono stati una raffica di scandali, processi e sequestri: corsi finti, allievi fantasma, soldi ricevuti dallo Regione, dallo Stato o dall'Europa incassati da dirigenti dalla mano veloce.

Il risultato è che arresti e condanne hanno bloccato gran parte dell'attività. Le proteste e i sit-in dei lavoratori degli enti che operano nel settore, ormai a loro volta disoccupati, si succedono con cadenza settimanale; gli enti formativi non presentano progetti che possono essere finanziati; i funzionari pubblici che dovrebbero autorizzare le spese non firmano più nemmeno una carta.

La Regione poteva attingere al Fondo sociale europeo che a livello continentale ha stanziato più di 80 miliardi per investimenti in capitale umano. La condizione, come ovvio, era che i corsi offerti a giovani e senza lavoro, fossero reali e, per così dire, sensati. Per il triennio tra il 2015 e il 2017 (ma in base alle norme si può accedere agli stanziamenti anche per tutto il 2018) a disposizione della Sicilia c'era una somma intorno ai 700 milioni. Ne sono stati usati meno di dieci, una cifra che è inferiore all'1,5% del totale, e ormai è troppo tardi per potere pensare di correggere in maniera significativa il dato. Sul risultato finale non ha avuto effetti sostanziali nemmeno il cambio di giunta, con il nuovo governo regionale entrato in carica ormai a fine corsa, nel dicembre dell'anno scorso, e che non è riuscito a venire a capo del problema.

L'occasione persa ha del clamoroso, visto anche che proprio la formazione è uno dei problemi maggiori del mercato del lavoro siciliano. L'isola vanta in questo campo una serie di record uno più negativo dell'altro. Il 21% dei giovani siciliani lascia gli studi dopo la terza media, con punte del 25,2% nella provincia di Catania, e del 27,1 in quella di Caltanissetta. Le medie sono più alte di quelle del Sud nel suo complesso (18,5), dell'Italia (13,8) e ben lontane da quelle europee (10,7%). L'ultimo rapporto Invalsi segnala anche che in Sicilia c'è la più alta incidenza di risultati insoddisfacenti nell'apprendimento, con gli allievi dallo status socio-economico più svantaggiato che non riescono a impadronirsi nemmeno delle competenze considerate di base.

La conseguenza di questa situazione è che secondo l'ultima ricerca dell'Istat la Sicilia ha il record dei cosiddetti Neet, i giovani che non studiano e non lavorano: la media isolana è del 38%, il primo posto è di Palermo con il 41,4%

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