E Franceschini manda in esilio tutti i big che gli fanno ombra

RIPENSAMENTO Se non straperderà in Europa, Dario si rimangerà la promessa di farsi da parte

E Franceschini manda in esilio tutti i big che gli fanno ombra

RomaHe has a dream. Il leader seconDario del Pd ha un sogno: comprare un biglietto per Strasburgo a molti big del partito. Di sola andata, però. Franceschini in questo modo «esilierebbe» all’europarlamento tanti amici-nemici. Tutta gente di peso: nomi grossi, volti noti ma anche scomodi. Sai che bello sarebbe togliersi dai piedi il complottista D’Alema, il bislungo Fassino, il sindacalpensionato Cofferati, il primarioflop Domenici, il veltroniano Bettini, il supertrombato Soru?
D’altronde Franceschini lo aveva detto ai suoi, prima in segreteria e poi ai segretari regionali del partito. Una sorta di tattica dell’aspirapolvere per le elezioni europee di giugno: piazzare come capolista le tante personalità di prestigio targate Pd per raccattare voti e arginare il tracollo da Guinness dei democratici. E fin qui tutto normale: difficile pensare che un leader preferisca far correre nella sua squadra i ronzini al posto dei purosangue.
Ma c’è un «ma». Il leggenDario vorrebbe che, una volta eletti, i suoi uomini dessero un contributo in Europa e non qui. Come a dire: statevene a Strasburgo perché a me i «candidati bandiera», gli specchietti per le allodole, non mi sono mai andati giù. Per il leader sarebbe un bel colpo schierare l’artiglieria pesante sul fronte europeo nel tentativo di limitare la disfatta totale. E ancora meglio sarebbe tenere le sue truppe lì, in trincea, lontano dagli affari di Roma. E sbarazzarsi, così, di qualche compagno che attira consensi manco fosse un’aspirapolvere ma che, proprio per questo, è pure ingombrante. L’idea c’è, anche se i tempi per definire le euroliste sono ancora acerbi. I vertici del partito per ora stanno ponderando i regolamenti da adottare e soltanto a fine mese si saprà come sbrogliare la matassa. Le liste definitive, invece, potrebbero uscire solo ad aprile inoltrato. «Stiamo ragionando», dicono al partito. E mentre girano voci sui pezzi da novanta da presentare alle euroelezioni, Franceschini scartabella i sondaggi più recenti: «Non farò di nuovo l’errore di non crederci», giurava dopo le ultime randellate prese nelle urne. Carta canta: i dati sono da incubo. Il «suo» Pd crolla al 22 per cento (alle politiche dello scorso anno i democratici racimolarono il 33,2 per cento), l’Italia dei valori vola all’8 per cento, il Pdl si attesta tra il 36 e il 40 per cento. «Un misto di delusione e di sfiducia, ma anche di rabbia, perché molti hanno la sensazione che stiamo perdendo un’occasione - ha ammesso ai suoi -. Ma per me questa rabbia è positiva e non credo che i nostri elettori possano passare a destra». A destra magari no, ma tra le braccia di Di Pietro sì. E questo Franceschini lo sa bene, tanto che da settimane rincorre Tonino sul campo dell’antiberlusconismo. Un giorno è l’insulto («Clerico-fascista!»), un altro è la «tassa sui ricchi», un altro ancora è «l’assegno di disoccupazione»: una sterzata a sinistra che ha un duplice obiettivo. Il primo è mettere in soffitta il «ma-anchismo» di Veltroni che ha ridotto il partito a brandelli; il secondo è cercare di arginare la diaspora dei consensi a tutto vantaggio del vero killer del Pd: Di Pietro. E Tonino ieri esultava: «Se anche il Pd ha capito finalmente che bisogna fare squadra e opposizione seria, benvenuto! Non è mai troppo tardi», sapendo bene che tra il vero (lui stesso) e la copia (Franceschini) la gente sceglie sempre il prodotto doc.
E poi c’è il capitolo delle alleanze, altra grana di leggenDario, in vista delle elezioni amministrative. Se da una parte evoca scenari apocalittici se Berlusconi dovesse stravincere («Tenterà di accentrare tutti i poteri»), dall’altra apre ai centristi dell’Udc ma con juicio. L’alfiere dell’accordo con Casini è da sempre Enrico Letta che sogna di scaricare l’imbarazzante Di Pietro: «Dobbiamo provare a creare una coalizione che diventi maggioranza e per farlo dobbiamo guardare al centro perché è il centro quello che sarà decisivo», ripete a macchinetta. Franceschini è un po’ più cauto: il metro di valutazione «dev’essere la coerenza programmatica» perché, alle amministrative, i centristi faranno «alleanze a macchia di leopardo».

Tra le fila dei democratici, intanto, c’è chi giura che, qualora Franceschini dovesse perdere ma non straperdere in Europa e qualora conservasse le roccaforti di Bologna e Firenze, sarebbe pronto a rimangiarsi la promessa di non ricandidarsi alla segreteria del Pd e fare un bel dispetto a Bersani. LapiDario.

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