Ristorantino all’aperto, vista mare, appena un filo di vento, più o meno l’ora di pranzo. Allora, cominciamo con qualcosina di leggero: involtini di melanzane con ricotta e basilico. E di primo: tagliolini freschi al limone con vellutata di pollo, poi costolette di agnello alla griglia con burro all'arancia, tortino di patate e pere, budino di papaya. Da bere? Pinot nero, vabbè, anche se fa caldo. Duemilatrecento calorie, ma solo se ti va di lusso. Massì, tanto poi c’è la passeggiata fino ai murazzi, una bella nuotatina al largo, la partita di volano, il giretto in pedalò, il footing sul bagnasciuga. O forse la pennica sullo sdraio che forse è meglio, chissà se si butta giù qualcosa con il sudoku. Tanto che te ne frega, sei in ferie, chi vuoi che ti rompa le palle...
E invece no. Loro sono anche qui. Ti seguono, ti sorvegliano, ti spiano. I templari del perfezionismo anatomico, i predicatori della morale dietetica. Ti stanno addosso anche a tavola, naturalmente per il tuo bene. Ti lasciano lì davanti al ristorante Mediterraneo, alla pizzeria Sunshine, alla tavola calda Roccocò con l’acquolina alla bocca come il cane di Pavlov a sbavare per niente.
L’ultima forchettata alla schiena arriva da Cilea, paesino del Cilento. Da quest’estate, per ordinanza del sindaco Mario Rizzo, tutti i ristoranti del paese dovranno riportare nel menu sotto ogni pietanza il numero di calorie che ti mandi giù. È inutile che cerchi di resistere: l’occhio ti cadrà sempre lì e il resto ti andrà di traverso. È come scrivere «Nuoce gravemente alla salute» sotto l’insalata di radicchio con prosciutto crudo e Grana o «Chi tocca muore» sopra gli gnocchetti soffiati in salsa di gamberi e funghi porcini. E una cosa che non ha precedenti in Europa, in America invece si, a New York per esempio, dove un’iniziativa del genere è già stata impugnata davanti alla Corte federale. Fatta apposta per rovinare l’appetito.
Le ragioni, spiegano nel Cilento, sono due: tutelare l’economia del posto, che produce, olio extravergine di oliva, pesce azzurro, ortaggi e legumi. E proteggere la salute, che è un po’ sempre la solita scusa. Dati alla mano, insistono, la Campania ha il record italiano di ragazzini ciccioni, in Europa il sette per cento dei costi sanitari è colpa delle malattie legate all’eccesso di grasso e che se continua così, nel 2025 l’obesità infantile arriverà al 12,2 per cento, con un aumento del 205 per cento. Di certo la colpa è più di McDonald’s che della Trattoria da Gennaro. Ma la prima cosa che fai è rimettere giù il tovagliolo e masticare amaro.
La cosa comunque ha già fatto discutere, come si fa del resto quando ci si siede a tavola. L’ex ministro dell’Agricoltura Paolo De Castro dice che è cosa buona e giusta perchè «il consumatore ha tutto il diritto di conoscere la storia di ciò che mangia», Alessandro Meluzzi, lo psichiatra, dice, e non a torto, che «consumare un pasto gioioso e gustoso insieme al senso di colpa visualizzato dal numero delle calorie è come trasformare la vita in una infermeria», per la Confesercenti «i ristoratori non sono dietologi, nè possono diventare sceriffi: così anche una carbonara diventa un rebus e poi quali sono le sanzioni?».
Anche i ristoratori non la digeriscono: «Si può fare solo menu che non cambiano mai», «è un’assurdità - dice l’ultima parola lo chef Heinz Beck - «si dovrebbe modificare tutti i giorni la carta già solo per una passata di pomodoro, a seconda del grado di dolcezza e acidità del prodotto fresco» e poi...Okay, Capito. Uno yogurt magro al pompelmo, grazie. E domani giuro che me ne ritorno in città...
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