Si contano sulle dita e per di più di una sola mano, vero. Epperò, ditelo pure con il Che Guevara del «se si sogna assieme il sogno diventa realtà», meglio di niente. E poi sono pochi ma buoni, ché se non altro contano, per incarichi e numero di tessere. La novità non è che Sergio Chiamparino, Piero Fassino, Enrico Morando e Walter Veltroni abbiano abbandonato lideologia per abbracciare un insperato pragmatismo riformista. Veltroni lo dice da mo, che lui «mai stato comunista», e Chiamparino lo vedi da quelle mani da metalmeccanico che è uno che dice pane al pane. No. La novità è il coraggio della ribalta costi quel che costi, dagli strali di Vendola ai grugniti di Di Pietro allo sprezzo di Cofferati.
E così eccoli nei panni dei quattro cavalieri dellApocalisse democratica dire che, ebbene sì, quello di Sergio Marchionne non è ricatto ma coraggio, e che la Fiom boicottando laccordo a Mirafiori sta facendo il male dei lavoratori, in un misto di arroganza e anacronismo. Leggi le dichiarazioni degli ultimi giorni e il mondo sè ribaltato. Perché prendi Fioroni: da ex Dc ed ex Ppi te laspetti che pronunci una frase tipo: «Non possiamo chiuderci nella ridotta di Vendola e della Fiom» e che consigli di «tagliare il cordone con la conservazione». Ma che gli ex comunisti (checché di se stesso dica Veltroni), diano la ragione ai padroni e il torto agli operai, in questo Pd fa ancora effetto.
Del resto, trattasi di vita o di morte. Annotava impietoso ieri Antonio Bruno su The Frontpage che «da quando è nato il Partito democratico si è posto subito un problema eminentemente politico: che cosè il Partito democratico? Un problema didentità mai affrontato seriamente se non attraverso unoperazione insignificante e inconcludente, una semplice addizione: comunisti + una parte di democristiani = nulla. Il nulla chiamiamolo democratico, condiamolo con un vago e finto spirito riformista e otteniamo il Pd». Perché un conto è spaccarsi su biotestamento e dintorni di questioni etiche, lì ti puoi sempre rifugiare dietro alla «scelta di coscienza» e poi non cè più nemmeno Paola Binetti a fustigarti col silicio. E persino avere una diversa visione delle alleanze, con leterno dubbio fra centristi e Sinistra, è fisiologico per un partito alle prese con «lamalgama non riuscito» di dalemiana memoria. Ma il lavoro no. Il lavoro non è una questione. È la questione. Per tutti, figurarsi per gli ex comunisti (compreso Veltroni).
E insomma eccoli. Mentre il segretario Pier Luigi Bersani dice un deciso «ni», per la serie ha ragione Marchionne ma anche la Fiom, per accontentare i «sì» senza scontentare i «no» del partito, quegli altri non le hanno mandate a dire. Veltroni, per dire: «La parola chiave del centrosinistra non può essere difendere, deve essere cambiare» ripete. Come? Costruendo «un nuovo modello di relazioni sindacali» capaci di regolare i rapporti «nella fase di investimenti reclamati dalla competizione globale e dallinnovazione tecnologica». Il tutto non solo introducendo un contratto di lavoro «più a ridosso dellazienda» (cit. «Hanno ragione i padroni»), ma modificando le regole stesse della rappresentanza sindacale. Più marchionnesco di così riesce a essere solo Morando. Sarà che è pure piemontese, ma il senatore ieri è riuscito a dire al Riformista che «Marchionne non viola nulla», se mai «i lavoratori pagano il conservatorismo della sinistra».
Dalla difesa alla barricata sono passati poi il sindaco di Torino Chiamparino e il suo aspirante successore Fassino. È successo che il numero uno della Fiom, Maurizio Landini, abbia contestato i loro sì allaccordo con un invito ad «andare alle catene di montaggio». Apriti cielo. «Conosco le fabbriche metalmeccaniche da molto più tempo di lui» sè inalberato Fassino da ex delegato Pci per le fabbriche di Torino, aggiungendo un feroce «di fronte ai problemi veri bisogna sporcarsi le mani» e un lucido: «Ai lavoratori sono richieste condizioni onerose. Compensate però dalla sicurezza del lavoro».
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