E l’ultimo uomo diventa un’incognita

A Palermo succede che Vives del Lecce spinge da dietro Cavani impedendogli di battere a rete dall’interno dell’area. E che l’arbitro Dondarini (internazionale, ma al sesto gettone stagionale) si limita ad ammonirlo invece di cacciarlo per fallo da ultimo uomo. Se poi questo non è fallo da ultimo uomo, ci dicano lor signori qual è, ci illuminino soprattutto sullo spirito della regola. Fuori dai patri confini gli arbitri non si fanno tante masturbazioni filosofiche sulla posizione in campo, il possesso del pallone, la telemetria applicata al calcio e fesserie analoghe. Si pongono solo l’interrogativo se l’azione è da gol o no. Punto e basta. Se non ci credete andate a rivedervi l’espulsione del serbo Vidic, difensore centrale del Manchester United, nella partita persa di brutto in casa (1-4) con il Liverpool. Secondo l’arbitro Wiley, il giocatore di Ferguson ha interrotto un’azione da gol pur commettendo fallo su Gerrard, centrocampista del Liverpool, ad alcuni metri dall’area di rigore: rosso diretto e buona notte suonatori. In Italia staremmo ancora a interrogarci se si può parlare di fallo da ultimo uomo (fraseologia tutta nostra) a così tanta distanza dal portiere. Troppi distinguo, troppi.

Quanti bastano per confondere le idee a chi dirige le operazioni con fischietto e auricolare. Chissà se un domani Marcello Nicchi, nuovo presidente dell’Aia, riuscirà a togliere la museruola ai suoi associati. Anche per capirci e capirsi meglio. La storia lo aspetta.

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