La Nazionale di calcio, stasera finalista dell'europeo 2012, è il perfetto esempio da imitare per il paese Italia. Lo sostiene e lo scrive Giorgio Napolitano in una lettera indirizzata a Cesare Prandelli che il Ct con voce rotta dall'emozione rilegge nello spogliatoio dello stadio olimpico di Kiev davanti agli azzurri schierati a poche ore dalla resa dei conti con i più forti al mondo, gli spagnoli. A chiusura della missiva c'è anche l'invito, solenne, a presentarsi nei saloni austeri del Quirinale, lunedì, al rientro dalla Polonia in Italia fissato per la sera di lunedì, dopo le 19. Emblematico il messaggio indiretto rivolto anche agli scaramantici in circolazione: che si vinca o si perda la finale, c'è da celebrare la grande impresa della Nazionale, partita tra una diffusa sfiducia, e da segnalare inoltre al paese colpito da una grave crisi economica le qualità di un gruppo di italiani grazie alle quali si possono scollinare le difficoltà di ogni tipo. Si salda così un rapporto, tiepido ai tempi di Berlino 2006, intrecciato e reso robusto dall'incontro di Danzica, ai margini di Italia-Spagna del 10 giugno, e dai successivi scambi di giudizi, qualche telefonata affettuosa intervenuta dopo i successi su Inghilterra e Germania aggiunta agli auguri in diretta televisiva rivolti da Prandelli al presidente della Repubblica nel giorno di una velenosa stilettata indirizzata al premier Monti. La lettera di Napolitano prende lo spunto dagli auguri ricevuti per segnalare la qualità di questa Nazionale e lo straordinario merito del suo Ct: «Quello che ho trovato molto bello in tutte le vostre prestazioni è stato l'affiatamento tra vecchi e nuovi, lo spirito di squadra, la comune determinazione e generosità. Impossibile fare graduatorie: non c'è stato nessuno che non abbia condiviso l'impegno e lo sforzo, che non abbia dato il meglio di se. E aver creato quel clima, aver saldato quella compagine è stato un atto meritorio». Facile, a quel punto il passaggio da Kiev alla condizione dell'Italia. «Ho apprezzato la sobrietà e la serietà dei suoi commenti: consapevolezza dell'importanza dei risultati, senza retorica, senza trionfalismi, sapendo quanta strada resti da percorrere. Ma non è forse questo il discorso da fare per l'Italia e per la sua nazionale di calcio?" l'interrogativo retorico di Napolitano che conclude con il ricordo dell'incontro di Danzica, «quando si trattava di smentire facili pessimismi», con l'incitamento per la finale e l'invito al Quirinale. Fu vicino alla Nazionale e a Buffon finito nella bufera mediatica delle scommesse.
C'è chi, nello spogliatoio azzurro, avverte un brivido lungo la schiena e chi invece, come Gigi Buffon, il portiere e capitano, interlocutore privilegiato del presidente della Repubblica, in pubblico, durante la conferenza-stampa, coglie l'occasione per rifilare una scudisciata ai politici di casa nostra. E magari, sotto sotto, col termine miseria pensa anche alle vicende personali, a qualche magistrato che adesso lo loda dopo le parate con i tedeschi. La sua chiosa è un vero petardo esploso sull'ultima domanda: «In questo momento di miseria, anche un persona intelligente e di buon senso come lui, può sembrare un gigante. E il presidente Napolitano è un vero gigante». Prima della staffilata, solo un riferimento patriottico, la spiegazione di quel suo modo, a occhi chiusi, di cantare, ad altissima voce, l'inno. «è vero, canto con trasporto anche perché è un modo indiretto di rendere omaggio ai miei due bisnonni che sono caduti sul Piave» la spiegazione.
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