E nell’anno della crisi economica follie per la campagna elettorale

E nell’anno della crisi economica follie per la campagna elettorale

Ogni quattro anni è la stessa storia, ma non ci si può far niente: perché è la verità. La spesa per la campagna elettorale delle presidenziali americane straccia ogni record precedentemente raggiunto e la stampa si scervella con aggettivi iperbolici, solitamente legati all’astronomia («stellare» è il più gettonato), per sottolinearlo.
Nel 2008 fu la straordinaria capacità di Barack Obama di raccogliere fondi a portare a un totale complessivo (la spesa dei candidati democratici più quella dei repubblicani) di circa un miliardo di dollari: solo per pubblicizzare la sua immagine di «uomo nuovo» il senatore dell’Illinois ne spese ben 750 milioni. Quest’anno, impietosamente segnato dalla crisi economica e dalle relative difficoltà sociali, era ragionevole immaginare un contenimento dei costi della politica. Ma i fatti ci smentiscono: si viaggia allegramente verso i due miliardi di dollari.
Il manager della campagna elettorale di Barack Obama, Jim Messina, ha smentito pochi giorni fa che il presidente abbia l’obiettivo di arrivare a raccogliere la somma record di un miliardo di dollari per la rielezione. «La gente ha speculato su questa campagna da un miliardo di dollari, ma sono stupidaggini, noi fondiamo la nostra campagna su donazioni di tre, cinque dollari o qualsiasi cosa la gente possa donare per costruire un grande movimento di base», ha detto lo stratega democratico. Chiara l’intenzione di respingere l’immagine di un presidente che, in un momento di grande difficoltà economica, cerca il sostegno dei grandi donatori per poi bruciare cifre record nella campagna elettorale.
Nonostante le smentite di Messina, la cifra «galattica» indicata dai media pare fondata, se non altro considerando la raccolta record di quattro anni fa. D’altra parte, ci ha pensato anche la Corte Suprema a rendere meno difficile questo risultato, rimuovendo nel gennaio 2010 con un suo pronunciamento il limite di finanziamento alla politica fissato dalla legge. Allora Obama bollò come un favore fatto alle lobby questa decisione presa a maggioranza dai cinque giudici conservatori della Corte, sostenendo che così si andava a diminuire il peso delle piccole donazioni fatte dai singoli cittadini, base del suo successo nel 2008. Ma oggi non è detto che il presidente sia in cuor suo della stessa opinione: soprattutto perché aver rinunciato ai finanziamenti dei ricconi è costato carissimo ai democratici in termini di voti alle ultime elezioni di midterm.
Inoltre, se è vero che Wall Street preferisce sostenere Romney, è altrettanto vero che già una trentina di «paperoni» (sono dati di un mese fa) hanno versato cospicui finanziamenti per la campagna di Obama, contro i 42 del suo più probabile avversario repubblicano. Già, i repubblicani.

Si trovano oggi nella condizione dei democratici nel 1992, che non riuscivano a esprimere un candidato all’altezza contro George Bush senior. Poi saltò fuori il semisconosciuto Clinton e la storia cambiò. Nel 2012 per cercare il loro Clinton, i repubblicani spenderanno (anche loro) un miliardo di dollari.

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