E ora il burocrate ripudia la «badante»

Sono ultrasettantenne e vivendo solo mi avvalgo della collaborazione di una badante di origine ucraina. Dallo scorso dicembre sono in attesa del permesso di soggiorno per regolarizzare il tutto. Il Patronato che mi ha svolto la pratica presso il ministero dell’Interno, ha sostituito il termine «badante» con «assistente alla persona». Ho cercato il termine «badante» sul dizionario, ma non sono riuscito a trovarlo. Mia figlia che insegna lettere, sostiene che il vocabolo sia stato coniato in questi ultimi anni dai mass-media. Sia buono, mi risponda e mi dica chi ha ragione.


«Quasi senz’accorgercene ci troviamo ad aver adottato una parola, un’espressione nuova o anche solo impiegata in un significato diverso dal consueto. Cronache giornalistiche e audiovisive ci hanno messo ora sulla lingua il termine badante, forse poco gradevole ma perfettamente conforme alle regole della lingua italiana: participio presente del verbo «badare», adesso è usato come sostantivo per indicare una persona che si prenda cura, direi professionalmente, di qualcuno. Vocabolo venuto giù dal linguaggio burocratico, dei documenti governativi. Solo un anno fa non sarebbe venuto alle labbra, oggi spunta quasi obbligatoriamente in ogni cronaca». Questo scriveva, sul Corriere della Sera, quel grande amico che fu Gaetanino Afeltra. Era il novembre del 2002 e ciò ci permette di stabilire una seppur approssimativa data dell’irruzione, nel linguaggio comune, di «badante». Ovvio dunque, caro Avarone, che nei dizionari non aggiornatissimi manchi quel termine. Secondo l’Accademia della Crusca - e bisogna darle credito perché su questi fatti non sgarra - la prima attestazione di «badante» risale al 1989 (e qui la solita, inappagata curiosità: chi fu, nome e cognome, il burocrate che la coniò o, come vedremo, che la riportò in vita dandole una diversa accezione?): rimasta per qualche tempo circoscritta al linguaggio amministrativo fu poi adottata da quello giornalistico che le diede l’aire. Parola, come dicevo, non coniata ex novo. Un tempo indicava colui (o colei) che accudiva le pecore, le oche, le vacche e i vitelli, gli animali che bisognava «badare», dei quali, cioè, aver cura, stare attenti, occuparsi. Del tutto logico, anche se un pochino imbarazzante, che da mucche o animali da cortile si sia passati a riferirsi, col termine «badante», a colui (ma il più delle volte a colei) abbia cura, stia attenta, si occupi, che badi, appunto, a esseri umani impossibilitati a badare a se stessi.
Vedo dalla sua lettera, caro Avarone, che la burocrazia, sempre così sensibile al canto della sirena del politicamente corretto, sta prendendo le distanze da «badante». Preferendogli un più specialistico «assistente alla persona». Definizione pomposetta (al pari dei vari «paramedico» per infermiere, «operatore ecologico» per spazzino, eccetera) che ha il merito di far sembrare una badante qualcosa di più d’una badante: quasi un portaborse.

Però nel linguaggio e nella sua continua evoluzione, non sempre chiodo scaccia chiodo e io ci scommetto che il termine «badante», che ha assunto carattere affettuoso, bonario e questo grazie alla affabilità e spesso alla giovialità delle badanti, non cederà il passo, almeno nel parlare comune, all’algido «assistente alla persona». Se però la sua, di badante, preferisce esser chiamata in tal fatta, lei, caro Avarone, l’accontenti. Mettersi a battagliare con una ucraina testa dura, ancorché amabile d’indole, c’è solo da rimetterci.

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