E ora c’è un pacemaker contro la depressione

A Torino i primi impianti. L’apparecchio stimola i centri nervosi dell’umore e riduce i rischi di suicidio. Gli esperti: «Ma è l’ultima spiaggia»

La depressione può essere un tunnel senza fine. Uscirne per qualcuno è proprio impossibile: i farmaci e la psicoterapia falliscono e non resta che il suicidio. Ma una speranza c’è anche per i casi estremi. Si tratta del pacemaker antidepressivo che all’ospedale Molinette di Torino pensano possa essere la soluzione per i pazienti in cui non si riesce ad estirpare il male di vivere. Il dispositivo, impiantato all’altezza del collo attorno al nervo vago, è in grado di stimolare la produzione di serotonina, l’ormone che regola l’umore, il sonno, l’appetito e il sesso.
Questo apparecchio non va inteso come una scorciatoia per guarire più rapidamente tutti i casi di depressione. È, infatti, l’ultima spiaggia per coloro che soffrono della forma più grave, cosiddetta maggiore, che, resistente a tutte le terapie, non lascia speranze di guarigione. «E non è nemmeno la panacea per la cura della patologia più resistente - spiega Orso Bugiani, il neurologo dell’istituto Carlo Besta di Milano che ne ha già impiantati sette (altri 13 sarebbero stati impiantati in altri ospedali italiani)- è da riservare solo ai pazienti più anziani. Non cancella la depressione ma la riduce. E per questi malati non è poco». Una riduzione della patologia che probabilmente soddisferà anche il medico cinquantasettenne operato alle Molinette, che ha convissuto con questa malattia per dieci anni. Un caso ostinato, il suo, che è condiviso anche da molte altre persone. «Se l’80% dei pazienti con depressione maggiore risponde in modo soddisfacente alle terapie convenzionali - spiega lo psichiatra torinese Giuseppe Maina - un 10-15% è refrattario. La stimolazione elettrica del nervo vago consente di accedere ai sistemi cerebrali in modo indiretto, facilitando così una maggior produzione di serotonina che non riesce, nei soggetti che non rispondono alle cure, ad essere indotta dai farmaci. È un intervento reversibile, generalmente ben tollerato, i cui effetti collaterali più diffusi sono la raucedine e la tosse, che compaiono nelle prime settimane dopo l’intervento».
L’apparecchio ha superato l’esame dell’Unione europea e, negli Stati Uniti, della Food and drug administration. Un nullaosta, quest’ultimo, emanato già da due anni. Le garanzie offerte da questi enti hanno spinto gli psichiatri Filippo Bogetto e Giuseppe Maina e i neurochirurghi Alessandro Ducati e Michele Lanotte a tentare questa strada all’ospedale torinese, per quei malati refrattari a tutti i tipi di cure. E così il medico cinquantasettenne a marzo è stato portato in sala operatoria.
A distanza di un mese i medici hanno costatato che l’operazione è riuscita, il dispositivo è stato ben tollerato e il paziente comincia a stare meglio e, ieri, hanno diffuso la notizia. A questo punto altri pazienti potranno beneficiare del nuovo rimedio antidepressivo. La selezione è però rigorosa: si tratta di un rimedio estremo, cui possono essere sottoposti solo coloro che soffrono di una gravissima forma di depressione incurabile con qualsiasi terapia farmacologica o psicoterapeutica. Una forma tutt’altro che rara: dieci italiani su cento ne sarebbero stati colpiti almeno una volta nella vita. La selezione severissima è dovuta al fatto che non tutti coloro cui viene impiantato l’apparecchio evitano il suicidio.

Sinora, infatti, solo un terzo dei pazienti operati nel resto del mondo non tenta più di togliersi la vita. Fanno, invece, tirare un sospiro di sollievo gli eventuali effetti collaterali: raucedine e tosse che sarebbero passeggeri. E, qualora si rivelino insopportabili, il pacemaker antidepressivo si può sempre togliere.

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