Politica

E ora la città teme il rischio-commissario

Quando suo nonno Eduino, comunista così, mezzadro prima e operaio agricolo poi, lo portava con sé alla Casa del Popolo di Abbadia di Montepulciano (Siena), una delle tante «piccole Russie» senesi, dove il Pci prendeva il 70%, l’allora undicenne Franco Ceccuzzi non poteva immaginare che il sogno di amministrare Siena, 34 anni dopo, si sarebbe potuto infrangere con l’onta del commissariamento. Eppure in quella strana città le cose vanno così. Da sempre il benessere del Monte significa il benessere di Siena, dove non esiste opposizione e dove la ricchezza è sinonimo di distribuzione di seggiole. Una bolla che era destinata a scoppiare da tempo. Le dimissioni di Ceccuzzi sono arrivate alle 23.42 di domenica, appena dopo un anno dalla sua elezione, tre settimane dopo l’implosione del sistema di potere rosso, due settimane dopo il blitz della Guardia di Finanza nella sede della Banca alla ricerca di documenti e file riguardanti l’acquisizione di Banca Antonveneta. «In queste settimane è stato messo in atto un vile tentativo di ricatto e condizionamento nei confronti della mia persona e della nostra comunità», ha tuonato ieri Ceccuzzi nel suo ultimo consiglio comunale che in serata (dopo oltre 10 ore di dibattito) ha bocciato il bilancio consuntivo per la seconda volta (17 voti contrari e 15 favorevoli). Quello stesso bilancio che era stato rigettato il 27 aprile da 7 consiglieri del Pd (6 ex Margherita e uno vicino alla Cgil) che votarono con l’opposizione. Si è rotta così quell’antica tregua politica tra Dc e Pci prima, Margherita e Ds dopo e, dentro al Pd ora, sul quale si è sempre retta la gestione della città. Sullo sfondo di questa crisi le nomine di «babbo Monte»: il voto contrario dei sei dissidenti è stata la vendetta contro Ceccuzzi che aveva osato indicare nomi (non graditi ai «margheritini») alla Fondazione Mps per il nuovo cda dell’istituto senese, compreso quello del neo presidente Mps, Alessandro Profumo, fortemente voluto per sostituire l’ex Giuseppe Mussari.
L’inizio della fine. E dietro le quinte un regista politico: Alberto Monaci, presidente del consiglio regionale della Toscana. «C’è un’evidente ingerenza di Monaci nella vita del Comune di Siena - ha detto ieri Ceccuzzi in Palazzo Pubblico -. Lui stesso si è attribuito la paternità dei sei consiglieri». Ceccuzzi ha parlato di «gravissima irresponsabilità di quei consiglieri di maggioranza che, dopo aver votato il programma di mandato, lo hanno più volte tradito». La città di Siena, adesso, sarà «consegnata a un commissario» da «politicanti, traditori e voltagabbana».

Chissà oggi cosa avrebbe detto nonno Eduino.

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