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E ora decine di iraniani sono accampati nei consolati italiani

nostro inviato a Trieste

Stretto tra due fuochi, Franco Frattini prova a districarsi in un G8 esteri che diviene all’improvviso molto più complesso di quello che si poteva prevedere solo fino a poche ore prima del suo avvio, ieri. Da un lato gli arrivano notizie di «decine» di iraniani che si recano a Teheran nelle rappresentanze diplomatiche italiane in caccia di un visto. Ne fa cenno, il ministro degli Esteri, nel suo discorso al consiglio comunale della città giuliana: «L'Italia è il primo ed unico Paese che ha offerto la possibilità di accogliere ed aiutare chi fugge o chi ha bisogno di cure. Anche se quel che serve è una azione coordinata della Ue».
Ma col passare delle ore, filtra la notizia che sarebbero parecchi gli iraniani che chiedono aiuto all'Italia. Non pochi quelli che si sarebbero accampati nel nostro ufficio consolare a Teheran. E non si sa come farli uscire, anche perché - sempre nella mattinata - a Trieste è giunta l'eco di una «spiegazione» iraniana per la mancata presenza al G8 che suona a metà tra la sfida e la beffa: «Non abbiamo ritenuto di aderire all'invito perché l'Italia non è stata ai patti» fa sapere Hassan Qashqavi, portavoce del ministero persiano, degli Esteri citato dall’agenzia Isna. Quali patti? Non ci sono stati gli incontri preparatori necessari. Ma la Farnesina smentisce con decisione: tecnici ed esperti si sono visti e parlati. Il fatto è che dopo il voto, Ahmadinejad e i suoi hanno ritenuto di evitare i contatti.
E c'è un altro nodo imprevisto che va sciolto. A fronte di una «chiara e univoca condanna» nei confronti del regime dei mullah che si era messa in preventivo (la volevano Gran Bretagna, Germania e soprattutto Francia il cui ministro Bernard Kouchner, chiedeva «un testo di fermezza») si è levato - inatteso ma non troppo - il nyet russo. «Approccio sbagliato l'isolamento di Teheran» spiegava Serghiei Lavrov dopo il bilaterale con Frattini. «E nessuno - aggiungeva - vuole condannare il processo elettorale, perché rappresenta l'esercizio della democrazia».
Prevedibile la richiesta di non interferenza sul voto, visto che di vicende iraniane si tratta. La secchiata d'acqua gelata però veniva da quella richiesta di «non isolare» il regime di Teheran, ma semmai di coinvolgerlo, che erigeva una sorta di muro tra i russi e il resto del G8. Frattini tenta la mediazione: «Avremo un buon documento di condanna della violenza e della repressione in Iran, ma che al tempo stesso ricordi come le procedure elettorali siano una questione iraniana», faceva sapere, assicurando della disponibilità russa a lavorare su un testo equilibrato. Ma il braccio di ferro è in atto, né conciliano all’accordo l’alzar dei toni di Ahmadinejad contro gli Usa e l'Europa («Obama parla come Bush, è caduto nella trappola europea!»), né i moniti dell'ambasciatore di Teheran a Bruxelles ai 27 («Non prendete posizioni premature che potrebbero avere conseguenze inconvenienti»), ma neanche le richieste di un pronunciamento duro espresse dai francesi, ma anche dai britannici e dal ministro tedesco Steinmeier, il quale - partendo da Berlino - non esitava a condannare assieme alle violenze di questi giorni, anche l'esito del risultato elettorale. Senza contare che lo stesso Frattini, a poche ore dall'apertura del vertice aveva auspicato l'adozione di «una posizione particolarmente dura e chiara davanti al mondo» nei confronti di ciò che sta accadendo in Iran, facendo intendere che anche la Russia non avrebbe fatto mancare il suo appoggio.
Il nyet di Lavrov ha spiazzato un po' tutti. Così, durante la cena di ieri sera, è calato un pizzico di gelo in un incontro che per il resto marcia abbastanza spedito. Su Afpak (Afghanistan- Pakistan) l'auspicio comune è che le elezioni di agosto servano ad aprire spiragli. D'accordo tutti sul rinnovare spinte nei confronti della Corea del Nord che la inducano a rinunciare agli esperimenti nucleari e missilistici, così come nella lotta alla pirateria e nel sostenere il processo di pace in Medio Oriente. Ma l'Iran - compreso il suo tentativo di armamento nucleare - è una spina che incombe.

E che si aggrava per Roma per via di quelle decine e decine di persone che chiedono asilo col rischio che i basiji ne facciano dei nuovi desaparecidos.

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