E il Pd rischia di affogare nella guerra del fango

Ora che Massimo D’Alema si ritrova nel mirino, accusato dal centrodestra di essere a conoscenza del «complotto» anti-Berlusconi, il Pd si stringe in difesa.
Anche se in più di un caso si tratta di difesa d’ufficio, resa obbligatoria dal volume di fuoco scatenato dal Pdl contro l’ex premier. L’uscita di D’Alema sulle «scosse» in arrivo a molti (a cominciare dal segretario Dario Franceschini, che in prima battuta ha messo le mani avanti: «Di scosse io non mi intendo») non è piaciuta. E a molti non piace neppure la deriva che rischia di essere imboccata dal Paese: «Non credo che il governo salti per questi scandali», ragiona ad esempio il parlamentare Francesco Boccia, «questa maggioranza non può permettersi di fare a meno di Berlusconi. Temo però che parta una guerra del fango, a chi ne tira di più contro l’avversario. Col risultato di rafforzare solo l’antipolitica e disgustare i cittadini».
Quella di D’Alema «è stata un po’ un’imprudenza», dice Ermete Realacci, visto che si è offerto alla maggioranza il fianco per «strumentalizzare» le sue dichiarazioni. «Gli è uscita male di bocca, ma certamente non voleva alludere alle inchieste», assicura Andrea Orlando. «Se lo sapeva Fitto non poteva non saperlo lui», osserva invece un parlamentare pugliese, e di questo è convinto anche il barese Pino Pisicchio, di Italia dei Valori. «Mai commentato né preannunciato inchieste giudiziarie, io mi occupo di politica», ribadisce D’Alema. «Nessuna informazione sottobanco, l’inchiesta era stranota», assicura il dalemiano pugliese Giovanni Pellegrino. Che però spiega: «È evidente che faceva un’analisi politica di carattere generale, perché se si fosse riferito ad un’inchiesta sarebbe stata una sciocchezza da dilettanti. E lui non lo è».
E infatti questo nessuno lo pensa, anche se in casa veltroniana c’è chi insinua: «È incappato in una notizia, e se fosse il genio del male che qualcuno pensa se la sarebbe tenuta. Invece se l’è fatta scappare». Forse perché, come dice il prodiano Barbi, «voleva dare un segnale al Pd, far capire che potevano prospettarsi scenari diversi». Scenari nei quali, da un precipitare della crisi, si potrebbe uscire con un Pd che si assume le sue «responsabilità», come ha detto D’Alema, e appoggia un governissimo d’emergenza. Uno scenario che avrebbe come effetto collaterale anche lo stop a una battaglia congressuale tra Franceschini e Bersani che D’Alema eviterebbe volentieri, pur essendosi dovuto schierare per il secondo, e che rimetterebbe al centro della scena l’ex premier e le sue capacità di manovra politica e di relazioni. Ma le opinioni nel Pd divergono molto. Livia Turco, per dirne una che è dalemiana doc, lo teorizza apertamente: «Noi dobbiamo lavorare alla creazione di un’alternativa di governo, certo. Ma realisticamente si può anche pensare ad un esecutivo di transizione, non mi scandalizzerebbe». Opposta la posizione del veltroniano Giorgio Tonini: «Se anche la crisi precipitasse, io non vedo possibili né praticabili soluzioni che comprendano anche noi del Pd».

Certo che nel Pd c’è chi ci pensa, ma sarebbe un errore: «Sarebbe davvero difficile spiegare agli italiani che facciamo un governo col Pdl e la Lega, magari con Tremonti a capo. Poi come ci andiamo alle elezioni, che prima o poi comunque ci saranno?», chiede Tonini.

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