E il Pentagono ci striglia: la Nato non è un gioco

Monito del segretario Gates agli alleati, ma nell’Ulivo l’ala radicale avverte Prodi: «Adesso basta con i diktat e le ipocrisie»

da Roma

Soldati e soldi, ma anche «più impegno da parte di tutti», ecco quello che secondo Robert Gates serve e subito per «vincere la sfida» in Afghanistan. «Il successo - dice il nuovo segretario alla Difesa americano - non può sfuggirci di mano per la trascuratezza e per la scarsa determinazione politica. La Nato non è un circolo ricreativo o una fabbrica di chiacchiere, è un’alleanza militare con delle regole molto serie».
Sul campo le cose non vanno troppo bene, così il numero uno del Pentagono lascia a casa la diplomazia. «Non provvedere alla fornitura dei mezzi necessari - insiste - sarebbe davvero una vergogna per un’organizzazione costituita dai Paesi più ricchi del mondo e che dispone di oltre due milioni di soldati. I 26 membri della Nato hanno accettato di destinare il due per cento del loro prodotto nazionale lordo alla difesa, però solo sei di loro hanno rispettato questo impegno. Gli alleati non si devono illudere, perché una sconfitta degli Stati Uniti sarebbe una sconfitta di tutti».
La strigliata di Gates arriva mentre in Italia il dibattito politico sul rifinanziamento della missione sta vivendo i suoi giorni più caldi. Dall’India Romano Prodi non esclude che all’interno del decreto ci possa essere un richiamo alla necessità di una conferenza internazionale di pace, per cercare di recuperare i dissidenti della sinistra radicale: «Ora è presto, di questo ne discuteremo nei prossimi giorni». Ma Rifondazione appare sempre piuttosto critica. «Tragicamente, non vedo alcuna novità - dice il ministro delle Politiche sociali Paolo Ferrero -. La situazione in Afghanistan non è migliorata di un millimetro, anzi è peggiorata e, per quanto riguarda l’Italia, manca una svolta». Ancora più duro il senatore Claudio Grassi, leader della minoranza interna: «Dell’exit strategy per il 2011 annunciata da Parisi non ne sapevamo niente e non è negli accordi. Basta con i diktat». E Marco Rizzo, eurodeputato del Pdci, parla di «paradosso» italiano: «Definire quella in Afghanistan una missione di pace e poi mandare laggiù degli aerei chiamati Predator è un autentico ossimoro. Siamo di fronte a un’insopportabile ipocrisia».
Al Senato dunque numeri a rischio per il centrosinistra. Anna Finocchiaro, capogruppo Ulivo, mette le mani avanti: «Cercare di essere compatti in politica estera è giusto. Però se sul decreto la maggioranza non sarà autosufficiente, questo non dovrebbe minare il governo». Secondo Gianfranco Fini invece in questo caso Prodi si dovrebbe dimettere: «Sarebbe un fatto senza precedenti.

Già oggi è assurdo che il governo abbia due linee, con Prodi, D’Alema e Dini che garantiscono la continuità e tre segretari di partito che li contraddicono. Agli occhi del mondo siamo un Paese ambiguo». Conclude Roberto Calderoli, con un consiglio al Professore: «È un governo moribondo, gli conviene fare l’eutanasia e staccare la spina».

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