RomaSe avesse seguito le regole del fair play politico, si sarebbe dato una calmata. Avrebbe incassato silenziosamente la vittoria (in un giorno ha spostato il Partito democratico sulle sue posizioni, facendolo praticamente divorziare dal presidente della Repubblica) e si sarebbe messo a lavorare alla manifestazione unitaria di sabato. Invece no. Stiamo parlando di Antonio Di Pietro ed era inevitabile che scegliesse laltra strada che, per sventura del Pd, consiste nel bastonare il corteggiatore e smascherare i suoi punti deboli di fronte a tutti e imporsi come unico vincitore di tutta la vicenda. Compito piuttosto facile: il Pd si è trovato in una posizione delicatissima. Obbligato ad attaccare il governo e a bollare come anticostituzionale il decreto interpretativo varato venerdì e, al contempo, costretto a difendere il capo dello Stato Giorgio Napolitano, che quella legge ha emanato. E se Bersani lo invita a non toccare il Quirinale, lex pm risponde: «Non accetto lezioni dal Pd. Abbiano il coraggio di riconoscere che il capo dello Stato ha avallato con la sua firma un comportamento illegittimo e anticostituzionale del governo».
Il leader di Italia dei Valori si è buttato a pesce sulla contraddizione. «La verità è una ed una sola: cè stata la volontà di favorire solo uno dei giocatori e questo comportamento non è da arbitro imparziale, come richiederebbe il ruolo ricoperto da Napolitano. E chi si rifiuta di ammetterlo è un pavido o un ipocrita». Pavido e ipocrita, non è chiaramente rivolto al centrodestra, che sulla vicenda ha unopinione e interessi chiarissimi, ma ai democratici o, al massimo, allopposizione centrista di Pier Ferdinando Casini, visto che anche lUdc condanna il decreto e difende il Quirinale.
Privilegi di chi gioca, allopposizione da battitore libero. E, da free rider del mercato politico, si può permettere anche di pubblicare nel suo sito, la foto del presidente della Repubblica, con alle spalle una bandiera dellUnione sovietica, falce e martello in vista, e la scritta «Uno di loro». La tesi da sostenere è che il capo dello Stato è intervenuto «per fare vincere una parte», cioè il centrodestra. Ma anche che il Pd e gli eredi del comunismo italiano, non sono la vera opposizione.
Per tutta la giornata, via video e comunicati pubblicati sul sito, Di Pietro ha gettato sale sulle ferite della sinistra approfittando della semiparalisi che ha colpito il Pd. Ha sottolineato che il decreto non serviva perché i giudici hanno deciso la riammissione delle liste di Formigoni e Polverini, senza ricorrere al provvedimento. Ha detto che per salvare il Pdl del Lazio «si è fatto un decreto che viola le leggi, viola il rispetto fondamentale di un gioco democratico». E poi, ha di nuovo «chiamato alle armi», si intende «democratiche», gli italiani contro chi ha voluto il decreto.
Lex magistrato ha scavalcato in radicalismo persino il popolo viola che ieri è tornato a manifestare in piazza Navona contro il decreto. Slogan e interventi (costituzionalisti di area, nessun politico) tutti contro il governo. Ma nessuno dei duri e puri dellanti berlusconismo se lè sentita di accusare il presidente della Repubblica. Anzi, a Napolitano i «viola» hanno riconosciuto di avere risposto direttamente ai cittadini, con un mezzo che loro apprezzano (un intervento nel sito del Quirinale in stile blog) anche se hanno letto lintervento come la dimostrazione che Napolitano è stato «tirato per la giacca da un governo arrogante».
Persino il concorrente di Di Pietro, Luigi De Magistris, ieri è stato costretto a correre dietro al leader di Italia dei Valori. Il suo intervento di sabato era passato un po sottotraccia, troppo concentrato sulla manifestazione unitaria e poco sul ruolo di Napolitano.
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