«Un’atmosfera di palpabile sgomento». Così, con il gelido understatement previsto di fronte a grandi tragedie destinate a segnare un’epoca, il Times di Londra ha descritto lo sconcerto, lo scandalo, il devastante disorientamento che a un tratto si era diffuso sul volto dei quattro giudici di gara. Parliamo di gente del calibro di un Charles MacLean, scrittore e gran cane da caccia di whisky scozzesi; di una Geraldine Coates, riconosciuta come la più grande esperta inglese di gin, e di un Zubair Mohammed -il Profeta lo perdoni- esimio fornitore di spiriti e liquori di Fortnum e Mason, il top delle drogherie di lusso del mondo conosciuto.
I giudici succitati (c’era anche Paul Laverty fra loro, lo sceneggiatore del film «Il mio amico Eric», di Ken Loach) dovevano dire quale, fra i cinque whisky che gli avevano messo sotto il naso, era di produzione inglese (a differenza degli altri, rigorosamente scozzesi) ed eventualmente quale, secondo loro, si poteva dire il migliore. Potete dunque immaginare quale fu la loro sorpresa quando scoprirono di avere premiato, assegnandogli il primo posto in graduatoria, un whisky distillato a Taiwan. Il mitico (mitico da oggi, se non altro) «Kavalan». Come se da noi, fatte le debite proporzioni, si fosse premiato un Parmigiano fatto a Shangai o un Brunello di Montalcino prodotto fra le ridenti risaie del Mekong.
Giura Mike Wade, l’impettito redattore al quale è toccato l’ingrato compito di raccontare la tragedia ai lettori del Times, che mai un simile imbarazzo era lievitato fra i tavoli del centenario «Vintners Room», storico ristorante di Leith, vecchio borgo a nord di Edimburgo. Ci si era andati vicini forse solo due anni fa, quando la banda di una scuola superiore femminile di Taipei aveva fatto il suo ingresso trionfale all’Edimburgh Military Tattoo, la grande parata militare che si svolge ad agosto sulla grande spianata del castello, a Edimburgo, appunto.
Immaginatevi la scena: i velluti, la soffice moquette amaranto, le candele e i caminetti accesi del «Vintners», il felpato trascorrere fra i tavoli di impeccabili camerieri, e infine quel mormorio che sale di tono, non appena ai giudici viene rivelata l’insostenibile verità. Gli «unbelievable», gli «incredible», gli «oh no» si sprecano.
Si chiamano panel test. Se ne fanno ogni mezz’ora anche da noi, sia che si tratti di trovare quel non so che di viola mammola tra i vini, sia che si tratti di enucleare dalla mediocre moltitudine, quintessenzializzandone le carciofesche virtù, qualche rara e perciò imperdibile produzione di olio extravergine. C’era voluta un’ora, al «Vintners», per arrivare alla votazione finale. Un’ora punteggiata di affilati giudizi, fatti cadere sui presenti come ineludibili sentenze. «Pulito», «fruttato», «sentore di prato», «fra la mandorla e la nocciola», «fragranza di biscotto» (per citare alcuni dei più lusinghieri giudizi) e «pelle di cipolla», «retrogusto alla verza», «sensazione di vomito incipiente» (per dire invece dei giudizi negativi). E poi un gran giramento di liquori in bicchieri cristallini, un tuffare di narici, e sguardi errabondi, in cerca dell’aggettivo giusto. A differenza del premiato «Kavalan» («non vi ricorda lo sciroppo di fichi?» aveva trillato a un certo punto Geraldine Coates, Dio la perdoni) il «Langs», secondo classificato, era parso «dolce, biscottoso, piuttosto breve nel gusto, forse un po’ amaro in coda»; mentre il «Bruichladdich», un tre anni proveniente da quadruplice distillatura, era stato liquidato così: «Non olio da cucina, e neppure olio combustibile. Piuttosto, un sentore di lubrificante da macchine per cucire». E tutto questo per premiare, alla fine, un liquore taiwanese che con le brughiere scozzesi c’entra come i cavoli a merenda. Possibile un cotale, fragoroso equivoco?
Possibile, è stato spiegato poi ai quattro tapini. Nonostante un invecchiamento di soli due anni, il Kavalan (prodotto in una distilleria messa in piedi da scozzesi di Dufftown: in fondo una giustizia c’è!) gode di condizioni climatiche magnifiche, con un caldo umido che sullo Speyside se lo sognano.
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