E il web inneggia al «compagno Tokarev»

Il postino suona sempre due volte. Ma stavolta non è arrivato. La buca è vuota: nessuna rivendicazione per l’agguato di lunedì all’ingegnere nucleare dell’Ansaldo genovese Roberto Adinolfi, quella che magistrati e investigatori tanto vorrebbero leggere per poterci almeno dire chi è stato. Per scorgere il presente in questo buio di fantasmi comparsi da una passato che si credeva dimenticato.
Si fruga nella vita privata della vittima, nel suo lavoro, sui rigurciti brigatisti di una città rossa, sulle cellule anarcoidi, su quell’«odiato» simbolo industriale che si chiama Ansaldo. Nulla, a parte ipotesi, suggestioni, possibili depistaggi. Non porta la firma di chi ha sparato, il post inoltrato l’altro ieri sera su Indymedia svizzera. «Il mondo di merda che ci circonda è già abbastanza chiaro, non abbiamo bisogno di rivendicazioni esplicative. Abbiamo bisogno di bei gesti e di solidarietà complice». Il «compagno Tokarev», nome mutuato dalla semiatomatica usata per gambizzare l’ad di Ansaldo Nucleare, è solo uno dei tanti che solidarizzano. Non con la vittima ma con i sicari.
«Non abbiamo lacrime per Adinolfi e come potremmo averle? Ansaldo è da tempo il braccio nucleare di Finmeccanica: imprese di guerra e di devastazione di territori, multinazionali dell'unico vero terrorismo. Esperti, opinionisti e scribacchini alla Tobagi possono dormire ancora notti insonni: il terrorimo non è tornato, non se n'è mai andato. Una pallottola in un ginocchio terrorizza solo chi punta armi su popoli già condannati... Non c'è niente di anomalo nel fatto che non vi sia una rivendicazione e comunque con o senza di essa Adinolfi e l'impresa che dirige sono i soli e unici colpevoli».
«In questi momenti concitati di grande nostalgia “dei bei tempi andati” - prosegue l’internauta - i mastini di palazzo si leccano i baffi e sparano tutte le loro cartucce...».
Il procuratore capo Michele Di Lecce, scuote il capo. Nella lutulenta galassia della ribellione può navigare chiunque. Anche i Gap, sigla dimenticata che sta per Gruppi armati proletari, plaude all’azione militare: «Contro la violenza dei padroni, violenza rivoluzionaria», si legge sul sito di Indymedia Piemonte.

«Non piangiamo quindi gli sfruttatori e i loro servi, anzi, ci rallegriamo che lor signori non si sentano più così tanto protetti come in questi ultimi tempi! Lavoriamo per l’organizzazione di un partito rivoluzionario che sappia anche orientare all’autodifesa del proletariato!».
Parole, forse soltanto parole spese in libertà. Chissà invece che il proiettile che ha colpito Adinolfi, non arrivi dall’Est, quello degli ex comunisti riciclatisi mafiosi.

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