Ecco Consalvo il trasformista

È un peccato, ma vedrete che sul principe Consalvo Uzeda di Francalanza, ultimo discendente dei viceré spagnoli, il cui viso ambiguo, ornato di pizzetto, sul manifesto è parzialmente nascosto dal minaccioso cilindro, si giocherà una partita più politico-sociologica che estetico-cinematografica. Non solo per quanto scandisce nell'ormai famoso comizio finale, che prova a tenere insieme, alla maniera di Crozza-Veltroni, tutto e il contrario di tutto, Machiavelli e Bacone, Rivoluzione e Sua Santità. Soprattutto per ciò che evoca il personaggio, al quale Alessandro Preziosi, ripudiata la divisa grigia del Capitano per trasformarsi in partigiano nel Sangue dei vinti, conferisce un'immagine progressivamente ambigua, romanzesca, con accenti ed espressioni che ricordano il giovane Giancarlo Giannini.
Faenza racconta quasi l'intera esistenza di Consalvo, da bambino spedito in un monastero dove si consumano amplessi e i francescani pregano nottetempo al posto dei benedettini, a bamboccione stupratore, politico scafato pronto ad abbracciare i Savoia per farsi eleggere nell'Alleanza di sinistra, infine deputato di lungo corso. Vero, rispetto a De Roberto, il film illumina l'aristocratico catanese, sulla pagina cinico e carrierista, di una luce più morbida, così che il pubblico - è cucina cinematografica, senso dello spettacolo - possa affezionarsi alle sue vicende. Familiari, amorose, politiche. Per Natalia Aspesi, che ha stroncato il film su la Repubblica derubricando lo scandalo annunciato, Faenza ne farebbe «eroe positivo che si oppone al padre crudele, che cerca di difendere la sorella dalle prepotenze paterne, che seduce una popolana però paga per il malfatto»; mentre Gian Antonio Stella, sul Corriere della Sera, nello sposare il film facendone una sorta di manifesto contro la «casta», esalta lo spessore metaforico della scena in cui il duca Gaspare, quasi parlasse dell'Italia di Mastella e Dini, canzona Consalvo: «Destra e Sinistra, oggi non significano più niente! Di questi tempi tutto cangia talmente velocemente che non possiamo più stare appresso alle etichette».
Comunque sia, da venerdì il film sarà finalmente sottratto alle chiacchiere giornalistiche e il pubblico potrà giudicare se Consalvo, uomo dell'Ottocento che ama piacere e intreccia gli interessi più vari in nome del Potere, sia un «anti-italiano» o, al contrario, un «arci-italiano». Secondo l'Ansa, I viceré è «il film che i politici non vorranno vedere». Eppure, da quel 3 ottobre, quando fu presentato in anteprima al Parlamento europeo dopo essere stato rifiutato per motivi «esclusivamente artistici» dalla Festa di Roma (dobbiamo crederci?), questo film apparentemente slegato dai gusti correnti sembra essere diventato un «must» imperdibile. Se ne parlerà vivacemente all'uscita dai cinema, Vespa ci farà uno speciale, qualcuno lo assocerà al «Vaffa-Day» di Beppe Grillo.

E magari offrirà l'occasione per ritirare fuori dai magazzini e trasmettere in tv Il trasformista di Luca Barbareschi: allora vituperato, oggi in linea coi tempi. Racconta di un altro Consalvo, bello, scaltro e piacione.

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