Ecco l’Ifigenia di Gluck con il finale di Wagner

Acque agitate all’Opera di Roma, sul palcoscenico ed in teatro. In teatro, per le burrascose vicende che hanno investito i vertici, e per le quali non si intravede ancora la bonaccia; in palcoscenico perché vi torna dopo più di mezzo secolo dall’ultima rappresentazione, un’opera «marina», Iphigénie en Aulide di Christoph Willibald Gluck, da Racine, nell’originale versione francese, ma con sopratitoli in italiano, e con la novità del finale riscritto e riorchestrato da Richard Wagner.
Martedì 17, sfidando la cattiva sorte, e sicuro di governare i marosi che dal palcoscenico si riversano materialmente e simbolicamente anche nel «golfo mistico», Riccardo Muti, per la seconda volta in questa stagione, torna a dirigere a Roma, dove lo si vorrebbe anche con un incarico stabile, la cui richiesta il Consiglio di Amministrazione farebbe assai bene a formalizzare.
Fatto abbastanza curioso, anche la prima volta di Muti all’Opera, lo scorso dicembre, fu nel segno di un’opera «marina», l’Otello di Verdi, che si apre con una furiosa tempesta di mare, placatasi la quale, il Moro di Venezia può finalmente scendere a terra, a godersi il trionfo.
Il libretto racconta di Ifigenia, promessa sposa ad Achille, che il padre Agamennone deve offrire in sacrificio alla dea Artemide (Diana) per ottenere la partenza della flotta greca verso Troia. Agamennone, pentito, cerca in tutti i modi di salvare sua figlia, che, invece, decide di immolarsi per il suo popolo. La dea, alla fine, colpita dall’eroismo della fanciulla, le salva la vita. Una storia assai simile a quella biblica della figlia di Jefte, dal Libro dei Giudici, ma con diversa conclusione: la figlia di Jefte viene, alla fine, sacrificata a Dio, artefice della vittoria di Jefte sui nemici di Israele.
Nell’opera di Gluck, la conclusione vede Ifigenia che va in sposa ad Achille. Richard Wagner ammiratore di Gluck, riorchestra l’opera ma ne cambia il finale, per legarlo logicamente al seguito, che ha luogo in Tauride, dove la dea - secondo l’originale di Racine - ha condotto la fanciulla, consacrandola sua sacerdotessa. Muti ha deciso di adottare questo finale, anche per sottolineare, «didatticamente», i legami fra il classicismo gluckiano e il dramma wagneriano.
Lo spettacolo che si vedrà a Roma, è in buona parte quello già visto nel milanese Teatro degli Arcimboldi, il 7 dicembre 2002. Sul podio ancora Muti, regia scene e costumi di Iannis Kokkos, riadattati agli spazi diversi e più ridotti del Costanzi, mantenendone, invece, inalterati i costumi, ma con il mare in primo piano.
«Agli Arcimboldi - spiega Kokkos, greco di origine e dunque allevato a mito e teatro - il mare non si vedeva, a Roma sarà sempre presente: un mare che, sotto un cielo basso e incombente, dà il senso della minaccia». Il balletto, previsto nell’opera è divenuto una pantomima, con la firma di Marco Berriel.

Protagonisti: Krassimira Stoyanova (Ifigenia), Alexey Tikhomirov (Agamennone), Ekaterina Cubanova (Clitennestra), Avi Klembnerg (Achille) e Beatriz Dave (Diana).
Teatro dell’Opera. Da martedì 17 (ore 20,30) a domenica 29 marzo. Info: 06.481601.

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