Alberto Mingardi*
Nei giorni scorsi una petizione promossa dal nostro «Chicago-blog» contro la «legge Levi» ha riunito un certo numero di lettori affezionati alla libertà di sconto. Il Presidente dell’Associazione italiana editori Marco Polillo ieri l’ha definita «demagogica». La legge ha la finalità di tutelare librerie «indipendenti» e piccoli editori. Le case editrici attive in Italia sono oltre 7 mila, quelle distribuite a livello nazionale 1600. In un Paese dove l’attitudine alla lettura è scarsa, il problema non sembra davvero essere quello di uno scarso pluralismo, sul fronte dell’offerta.
In tutto il mondo, il mercato del libro sta cambiando: pensiamo ad Amazon (che ha spaventato i librai italiani con una politica di sconti aggressivi), alle diverse piattaforme per eBook. La differenza fra noi e gli altri è che noi escludiamo a priori che possa cambiare in meglio. La legge Levi, il manifesto «antiliberista» degli scrittori TQ, la «decrescita felice» del mercato librario: sono tutti sintomi di un pessimismo diffuso.
Altrove, gli scrittori stanno sperimentando Internet e gli eBook come leve per la disintermediazione dell’industria editoriale. L’impressione è che da noi la linea sia quella di un ripiegamento conservatore. Forse per questo si afferma una «ideologia dello scrivere» che giustifica il fallimento nell’attirare lettori. Che cos’è la «decrescita felice» se non una dichiarazione d’indifferenza per le sorti dei prodotti editoriali? E che cos’è l’indifferenza per le sorti di un prodotto editoriale se non una forma di disprezzo per il lettore?
Ammettiamo pure che il gusto dominante, nelle nostre società, sia di parecchio peggiorato. I dati di vendita forniscono indicazioni circa il gradimento presso i consumatori. Intendiamoci: non è che un best-seller sia per definizione un capolavoro, ma non si capisce perché dovrebbe essere vero il contrario. Ognuno ha diritto alle proprie preferenze, e ognuno ha diritto a cercare di cambiare le preferenze del suo prossimo. La diffusione della cultura, oggi come ieri, è un atto militante, tende alla «conquista» del lettore, non la rifiuta come un compromesso.
Il dibattito di questi giorni è preoccupante proprio per la diffusione della lettura. I cambiamenti sono avvertiti come minacciosi, si vedono i rischi e non le opportunità, si tende al massimo a preservare l’esistente. E non si parla mai dei lettori, soggetti assenti in questa seduta di autoanalisi del mondo editoriale. L’economia è una scienza lugubre, ma una cosa dovrebbe avercela insegnata.
*direttore generale dell’Istituto Bruno Leoni
www.brunoleoni.it
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