Ecco l’uomo di Grillo in Emilia: «Il sangue del Cav? Fu uno spot»

Paghi uno, prendi due. C’è tempo fino al 31 gennaio per mettersi a posto col canone, martellano sulla Rai, intanto godetevi Annozero. Si celebra il ritorno «spontaneo» di Beppe Grillo, vittima della fatwa di viale Mazzini per 17 lunghi anni. Strano, ci sembrava di averlo già visto qualche giovedì sera su RaiDue. Tele-visioni. Poi, a tarda sera, di soppiatto, ecco saltar fuori un altro piccolo grillo. È Giovanni Favia, candidato governatore dell’Emilia Romagna nelle liste dell’anti-politica. Pronto a battibeccare con Gasparri pur di strappare un seggio. Succede, a furia di inseguire il maestro e la sua inarrivabile incoerenza.
Difatti, sostiene Beppe il vate strizzando l’occhio ai travaglini dell’Idv, «a noi basta mettere una persona dentro al consiglio e faremo un network, le percentuali le lasciamo ai morti e alle carcasse». Perciò a Bologna e dintorni scende in campo l’unto dal giullare genovese, il suddetto Favia, protagonista di un’ascesa da manuale del perfetto sovvertitore dell’ordine partitocratico precostituito. Il principino del «Movimento 5 stelle» ha 28 anni, diplomato, è colui che nel gennaio scorso in piazza Farnese a Roma partorì lo striscione «Napolitano dorme, il popolo insorge». La polizia glielo fece metter via, intanto Grillo dal palco coglieva l’assist e inveiva contro il «presidente Morfeo». Impresa premiata dal battesimo di fuoco, la settima successiva, nell’arena di Santoro. Secondo il collaudato copione di Annozero, il grillino rampante allora era lì per stuzzicare Niccolò Ghedini, avvocato del premier. Circa l’episodio del lenzuolo contro il capo dello Stato, nessun dubbio: trattasi di «censura». In fin dei conti, quello slogan «non era abbastanza incisivo: Pertini, ad esempio, non ha mai firmato leggi porcata». E giù gli applausi dello studio, don Michele quasi commosso davanti al ragazzino prodigio. Così il profeta del vaffa lo incorona candidato sindaco a Bologna alle amministrative di giugno 2009. Spinto dall’apparato dei blog, con una campagna in salsa di livore Favia centra l’obiettivo del 3% ed entra in Comune, caso più unico che raro. Finalmente può fare il presidente di un gruppo, cioè di se stesso. Stakanovista delle sedute e dei blitz a microfono aperto, da un po’ si fregia pure del titolo «consigliere da 10 e lode».
Perché lui è diverso. Gli altri politici, dice, hanno tutti un secondo lavoro, invece impegnarsi per la cosa pubblica è «come il servizio civile». O meglio incivile, visto che il ribelle aspirante governatore eccelle soprattutto nell’arte dell’insulto a mezzo web. Il suo motto è: «Sarò il vostro dipendente pubblico, controllatemi pure». Infatti è facile: apri un sito a caso e lo vedi andare a ruota libera. «Abbatti Brunetta», «spoglia la Carfagna», ce n’è perfino per gli ignari Antonio Cassano e Marco Carta. Su YouTube spunta addirittura una parodia del «pedinamento» del giudice Mesiano, quello del Lodo Mondadori e dei calzini celesti. Giusto per aggiungere alla lista dei nemici anche Mediaset, la voce del «padrone». Il suo, invece, guai a toccarlo.
Del resto è nulla in confronto al fuoco di fila in direzione del bersaglio grosso, il solito. Ovvio che Favia non poteva mancare all’ultimo No B-day del 5 dicembre, con bagaglio di fango da gettare a destra e a manca («Questa è una giornata importante: il nostro presidente è un corruttore-evasore-piduista. Imbarazzante vedere in mezzo a noi le bandiere del Pd...»). Eppure c’è di peggio. Mentre il premier è in ospedale dopo l’attentato del Duomo, Favia si precipita al computer e rivendica di fronte a chi l’ha votato: «Oggi in consiglio comunale abbiamo dibattuto un ordine del giorno Pd-Pdl inerente l’aggressione ai danni di Silvio Berlusconi. Una paginetta di enunciazione di buoni auspici, accorati inviti alla calma, pura retorica, grande solidarietà al povero premier». Chiarisce orgoglioso: «Io non riesco a esprimere la solidarietà a Berlusconi. Fatico a vederlo come una vittima, anzi questo taglio al labbro e questa contusione rafforzerà sicuramente la sua posizione... Non a caso, è uscito dalla macchina per farsi inquadrare meglio dalle tv». Perché Favia, oltre al Cavaliere, odia proprio «le ipocrisie.

Il premier non ha bisogno anche della mia solidarietà. Abbandono l’aula, mi dissocio dal teatrino, meglio la discussione sul piano sosta...». Cinque stelle, dieci e lode? Macché, uno da Annozero.
giacomo.susca@ilgiornale.it

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