Ecco la lobby oscura che condiziona la politica

L'addetto stampa della Marcegaglia parla di sovrastruttura. Il caso: l'azienda della presidente attaccata dai giornali di sinistra. L'ordine del direttore dell'Unità: deci pagine di veleni. Il Giornale definito "un canile di segugi scatenati"

Ecco la lobby oscura che condiziona la politica

Non sarà la Spectre e neanche la P4, ma ciò che ha dichiarato il dottor Arpisella, addetto stampa del presidente della Confindustria sulla esistenza di una «sovrastruttura» che condiziona la politica e l’economia e anche i media, non può essere ignorato. È vero che egli ha detto di avere scherzato, ma la smentita in questi casi è normale ed egli è entrato nei dettagli facendo esempi inquietanti. E quindi il quesito rimane.

I gruppi di pressione esistono in tutte le democrazie. E non c’è bisogno di Carlo Marx per sostenere che le grandi imprese si possono accordare fra loro per condizionare le scelte pubbliche e i media. Wilfredo Pareto, il più illustre economista e sociologo italiano e uno dei maggiori del mondo della prima metà del Novecento, ha teorizzato l’esistenza di un’alleanza fra i grandi gruppi finanziari e i partiti di sinistra, a spese della classe dei risparmiatori. Il condizionamento di questi interessi economici sulla politica e sull’economia non è una fantasticheria. E osservo che c’è un lupus in fabula, un lupo nella favola, cioè un esempio concreto che riguarda le vicende della Confindustria dell’ultimo periodo e che coinvolge in modo improprio anche il Giornale.

Il nuovo presidente Emma Marcegaglia ha modificato la linea precedente della Confindustria basata sui contratti nazionali di lavoro, con la Cgil come interlocutore privilegiato, e quindi sull’unità sindacale. In tale modello, che piaceva molto ad alcuni grandi gruppi, lo Stato interveniva con sovvenzioni alla Fiat e di altri complessi, nel nome del sostegno dell’occupazione a spese del contribuente. Nel 2009 nel nuovo contratto metalmeccanici è emersa la contrattazione aziendale in deroga a quella nazionale, sottoscritta da Cisl e Uil, ma non da Cgil. Emma Marcegaglia, nuovo presidente di Confindustria, ha sostenuto la contrattazione aziendale e in particolare il contratto di Sergio Marchionne per lo stabilimento di Pomigliano d’Arco. Ma poiché la Confindustria, pur essendoci il contratto del 2009, non aveva revocato il contratto nazionale del 2008, che non contemplava queste deroghe, la Cgil ha fatto causa alla Fiat per la violazione del contratto del 2008, che essa aveva firmato, adducendo che per lei non era valido quello del 2009, che non ha sottoscritto. Marchionne si è visto costretto a dire che se la Confindustria non avesse disdettato il contratto del 2008, la sua impresa sarebbe uscita dalla Confindustria. A questo punto la Confindustria ha disdettato il contratto del 2008 sfidando i furori della Cgil.

Per molti mesi la Confindustria ha vissuto con due contratti nazionali, uno nuovo firmato da Cisl, Uil e altri liberi sindacati, e uno vecchio in cui rimaneva la firma della Cgil, che non aveva sottoscritto il nuovo. Come si spiega questo anomalo comportamento di Emma Marcegaglia presidente di Confindustria, fautrice e promotrice del nuovo contratto? Forse la minoranza di Confindustria costituita ha più potere reale di quelli che siano i suoi numeri. Forse i voti non si contano, ma si pesano e ci sono alcuni voti che pesano di più. Non è la Spectre o la P4 ma c’è qualcuno che conta di più. E, guarda caso, gli articoli contro il gruppo industriale Marcegaglia, in cui lo si accusa di vari reati, con la cultura del sospetto sono venuti dai giornali di sinistra perché la presidente della Confindustria sostenendo la linea della contrattazione decentrata, a cui è contraria la Cgil, che è un bacino di voti della sinistra, era considerata berlusconiana, peccato gravissimo. Nessuno ha accusato questi giornali di dossieraggio né li ha intercettati. Il Giornale che si è limitato a ripubblicare questi articoli è stato accusato di dossieraggio ed è stato infangato, mediante l’uso di intercettazioni telefoniche tolte dal loro contesto e rese possibili solo dal fatto che in Italia questa materia non è regolata con criteri di Stato di diritto, ma con quelli di uno Stato inquisitorio. Le lobbies, le interferenze delle concentrazioni di potere economico su quello politico e sull’economia esistono in ogni democrazia.

Ma la libertà di stampa, il divieto di abuso delle intercettazioni, le regole di apertura dell’economia alla sfida dei mercati, senza le stampelle dello Stato a spese dei cittadini, sono rimedi necessari per ridurre questi abusi e collusioni e il condizionamento dei poteri impropri su quelli propri.

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