Ecco la mappa della rete del terrore libico

Non occorre scomodare principi machiavellici e strateghi militare cinesi per sapere che il fine, se c'è una guerra da fare, giustifica qualsiasi mezzo. Specie se il conflitto si prospetta impari e letale. Quel che potrebbe accadere in Italia, al di là dei warning dei nostri ministri della guerra per ora allarmati dalle reazioni del Nemico sul fronte bellico (plausibili secondo il ministro La Russa solo attentati isolati) e umanitario (invasioni certe di immigrati secondo Maroni) preoccupa le «antenne» dell’intelligence europea che hanno ben presente la «rete» che da anni, su Roma e non solo, cura i segreti e i servizi del Rais. «Rete» antica, efficace, capillare, oggi completamente rinnovata e ramificata nell’economia oltreché nel commercio militare. Rete conosciuta per metà. Che se fino a ieri Tripoli monitorava con difficoltà provando a frenare l’exploit del fronte interno integralista (collegato al network qaedista del «Lifg-Gruppo Combattente islamico libico» alleato ai resti del «Gruppo Salafita per il combattimento» estirpato dall’esercito di Gheddafi al confine con il Ciad nel 2004) adesso è costretta a farci i conti. Senza dirlo, senza pubblicizzare la mossa della Volpe del deserto che s’è venduta ai Crociati. In ballo, ed è il timore degli analisti, è l’alleanza impura, da consolidare in chiave antiamericana, alimentando questo radicalismo antioccidentale che Gheddafi ha iniziato a cavalcare offrendo il fianco ad Al Qaeda nei suoi deliri comizianti. Per non finire il pellicceria, la Volpe tenta l’azzardo coi Fratelli Musulmani, con gli emissari salafiti, coi gruppi militarizzati inneggianti ai tanti martiri libici caduti in Iraq e Afghanistan. Per quanto può, scarcera dalle segrete di Abu Salim terroristi e cattivi maestri. Continua sulla linea della liberazione indiscriminata di colonnelli del calibro di Lifg Sami Saadi e del guerrigliero Abdelhakim Bellai. Insomma, le gioca tutte anche se la partita sembra segnata. Solo la «Rete» europea può salvarlo. Attentati mordi e fuggi. Non convenzionali, come quelli che alcune intercettazioni rivelate dal Messaggero avrebbero allarmato la Germania. Terrore puro. Senza firma, perché lui, il beduino Mohammar, ufficialmente è e resta la vittima, il tiranno che s’è fatto agnellino nella lotta alla proliferazione nucleare e nella lotta al terrorismo qaedista che ha obbligato gli Usa a «sacrificare» moralmente i morti americani alla discoteca La Belle di Berlino, e gli inglesi a passare sopra ai 300 cadaveri della Pan Am con la riconsegna dell’assassino al-Megrahi. Bombe in Europa per cessare gli attacchi in patria. Fonti d’intelligence non smentiscono un certo nervosismo su questa «Rete» rimasta in sonno, ora sbandata perché estesa in tutto il Vecchio Continente, e attratta da Derna, vero centro propulsore del radicalismo di Osama. Attraverso cani sciolti eterodiretti da pupari di mestiere, gli 007 temono un ritorno di fiamma, assai meno «gestibile» a livello di apparati di sicurezza, degli anni Ottanta. Quelli, per intendersi, coincidenti con le bombe a Bologna e Ustica, quelli dell’assoluta arrendevolezza dei nostri servizi segreti ai voleri dei sicari di Gheddafi a cui passarono gli indirizzi segreti degli esuli libici, uccisi uno ad uno, ma proprio uno ad uno, in una delle pagine peggiori della nostra storia democratica. Coi governanti italiani incapaci di ribellarsi alle minacce economiche. Fifoni e piagnucoloni difronte ai diktat del vicino nordafricano che li voleva ammazzare tutti e subito, gli infami. Quella «rete» agiva in tandem col Sismi che fece loro sparare in faccia a 5 connazionali della Resistenza. Il nostro incaricato d’affari arrivò a scrivere a Roma che se c’è da sacrificare qualcuno che lo si facesse in fretta, perché i rapporti commerciali rischiavano il black out. Storia antica, dimenticata. Storia vergognosa. Che gli analisti oggi hanno il coraggio di riesumare e rivisitare per dire che i tempi cambiano ma i sistemi restano. L’arma del ricatto, della paura, dell’infiltrazione, del sangue, può essere la stessa perché l’aria è la stessa. La «rete», ovviamente, ha cambiato uomini e pelle. E il nuovo che avanza giustifica mezzi impensabili solo qualche mese fa, come una possibile, tacita, futuribile e temporanea alleanza con il vice Osama, Abu Yahya al-Libi, nemico (finora a parole) di Gheddafi. Qui non si tratta di temere un nuovo attentato kamikaze sullo stile poco professionale di quello andato a segno alla caserma Perrucchetti di Milano del 12 ottobre 2009. E nemmeno di studiare l’entourage dei kamikaze libici-italiani andati a immolarsi per la guerra santa santa (Mohamed Aouzar, Nourredir Lamor, etc). Si tratta di capire perché tanti libici (otto arrestati a Qurnà in Algeria) tre presi a Bagdad mentre stavano per far saltare un supermercato, altri 25 sorpresi in Egitto (prim’ancora l’icona Abu Lalthi al-Libi ucciso in Pakistan) siano dati in movimento verso una nuova, definitiva, emigrazione Jihadista che guarda sopratuttto all’Italia. Se si pensa che dell’archivio dei combattenti iracheni rinvenuto a Sinjiar, un quinto erano di Derna e Bengasi, per i nostri 007 c’è poco altro da aggiungere.

Siamo i traditori per Gheddafi, che non sappiamo se volevere dead or wanted? Importa poco. Al Qaeda e le sue quindici legioni sono a duecento miglia da Lampedusa. Dove il mare è pescoso, e la «Rete», coi suoi disperati, da sempre tira su squali affamati.
(ha collaborato Luca Rocca)

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica