«Ecco il mio omaggio a Ellington»
3 Giugno 2005 - 00:00Lartista, vincitore per la dodicesima volta consecutiva del titolo di jazzman dellanno, pubblica «Overtime» con la sua big band
Antonio Lodetti
da Londra
Se viaggiasse nelleffimero mondo pop sarebbe una superstar. Quasi quarantanni fa Miles Davis lo scopre in un club di Londra e lo porta alla sua corte; da allora Dave Holland è il simbolo del contrabbasso moderno, grande virtuoso, arrangiatore, compositore, lunico in grado di mettere insieme anime diverse dellavanguardia come Anthony Braxton e Sam Rivers (lo storico disco Conference of the Birds) e di unirsi con classe alle stelle del country (la Supersession con Vassar Clements, Norman Blake). Così Holland (linglese-americano che ha vinto per il dodicesimo anno consecutivo il referendum di Downbeat come miglior artista) continua a volare alto e ora, senza abbandonare il quintetto con cui sarà in Italia ad ottobre, pubblica Overtime, il secondo cd (dopo What Goes Around) alla guida di una big band con fuoriclasse come Chris Potter, Steve Nelson e Billy Kilson.
Come mai questo ritorno alle atmosfere delle big band?
«Iniziai quasi per gioco nel 2000, a Montreal, quando mi fu commissionata unopera per orchestra che riscosse un grande successo e mi spinse a continuare su questa strada. Con un tocco dattualità scrivo brani attuali nello spirito delle meravigliose sinfonie guidate da Duke Ellington, Count Basie, Walter Page, Cab Calloway che sono ancora lanima del jazz».
Nella sua musica si fondono tradizione e sperimentazione.
«Il jazz è fatto di suoni radicali e tradizionali; il segreto è trovare lequilibrio tra tensione e rilassamento dellarmonia e del ritmo. Il primo dovere dellartista è fare cose che la gente non saspetta».
Overtime è il cd di debutto della sua nuova etichetta.
«Preferisco avere il pieno controllo sulla mia musica. Di solito le incisioni diventano proprietà delle case discografiche, spesso i brani esclusi dai dischi vanno persi o vengono buttati».
Entrò nella band di Miles Davis poco più che ventenne, cosa le ha insegnato?
«A mettere insieme concetti musicali apparentemente inconciliabili, e ad esprimermi con la testa e col cuore».
Lei è cresciuto in Inghilterra quando impazzava il blues.
«A 15 anni suonavo in un gruppo di rnb; nel 64 mi trasferii a Londra e suonai con Alexis Korner e John Mayall, ma il mio idolo era Ray Brown ed ero attratto dalle armonie di John Coltrane e dagli arrangiamenti di Gil Evans: insomma dal jazz».
Che cosè il jazz?
«Una musica di origine africana che ha conquistato il mondo trasmettendo emozione e cultura.