Roma

Ecco le nuove holding dei «passaporti facili»

Alessia Marani

Slave irregolari imbarcate come entraîneuse, lavoratori extracomunitari assoldati «al nero» su yacht di lusso: blitz della guardia di finanza al porto di Civitavecchia. Proseguono le verifiche anti-terrorismo rafforzate all’indomani degli attentati di Londra, aumentati i controlli del personale imbarcato anche sulle rotte del diporto internazionale. È stato denunciato dai berretti verdi del Reparto Aeronavale del Lazio il titolare di una società di noleggio di imbarcazioni d’altobordo; accertamenti a raffica su permessi di soggiorno, libretti di lavoro, documenti sanitari e passaporti che, per ora, hanno portato all’espulsione di due cittadini extracomunitari. E adesso lo spettro, inquietante, di organizzazioni ad hoc che operano tra Roma, i Balcani e il Nord Africa per l’ingresso fuorilegge di migliaia di altri immigrati di «lusso»: insegnanti madre-lingua, fantomatici professionisti e turisti «per caso» che varcano le frontiere del Bel Paese con permessi trimestrali per motivi d’affari o culturali e che allo scadere del soggiorno in patria ci tornano sì, ma solamente «sulla carta». Altri «fantasmi», insomma, in terra tricolore.
Forti sospetti degli inquirenti che «dietro ad alcune agenzie di scambi culturali o di lavoro interinale e part-time si nasconda, in realtà, una fitta rete per l’ingresso a Roma e provincia di un esercito di clandestini». L’escamotage? Semplice, quanto ingegnoso. Fare rientrare nel Paese d’origine solo i passaporti da timbrare con la complicità di funzionari e agenti corrotti del posto. Risultato? Lo straniero che ha comunicato alla Questura italiana prima il suo arrivo e, quindi, la sua partenza allo scoccare del novantesimo giorno di permanenza, per le autorità governative ha a tutti gli effetti fatto ritorno a casa. La pratica chiusa. In teoria.
Una maglia «larga» della legislazione Bossi-Fini in cui malavita e faccendieri nostrani hanno presto infilato i loro interessi a cinque e sei zeri. Fino a creare una sorta di «collocamento parallelo» per lo straniero. Ma di un certo tipo. Che nulla ha a che vedere con i viaggi della speranza a bordo di gommoni, su infinite e improbabili rotte aeree da un continente all’altro prima di approdare nel «canale» giusto per varcare gli «impenetrabili» confini di mezz’Europa.
Innanzitutto, infatti, bisogna poter godere di una certa disponibilità finanziaria che garantisca, nei confronti del governo ospitante, la capacità del richiedente di potersi mantenere durante i tre mesi. Poi funziona così. Si aggirano le norme utilizzando leggi che da sempre regolano le entrate cosiddette alla pari, soprattutto quelle di giovani donne che apparentemente vengono arruolate come insegnanti di lingua (magari per una vacanza-famiglia a bordo di qualche natante), ma destinate a tutt’altro. Passati i tre mesi, scaduto il passaporto, la holding che ne ha curato passo passo l’ingresso in Italia pensa anche a sistemare il resto. Vale a dire a ritirarne il passaporto, a farlo rientrare in patria per il visto necessario. Formalmente quella persona è di nuovo a casa. Nella realtà resta ancorata al suolo italiano. Tutto grazie ai servizi di un unico «passeur» incaricato di «sistemare» con un solo viaggio le posizioni di diversi extracomunitari. Idem vale per tutti gli altri permessi non rilasciati per motivi di lavoro: sanitari, per visite, affari o turismo.
Un fenomeno allarmante, l’ennesimo ingranaggio distorto che finisce per alimentare l’industria dell’immigrazione clandestina. Intanto, proseguono gli accertamenti a Civitavecchia. Ispezioni continue per scongiurare che il pericolo di attacchi terroristici piombi via mare. Come successo nel marzo scorso quando una serie di telefonate anonime mise in allarme le autorità portuali costrette a check-in estenuanti delle navi in arrivo per un paventato attentato a bordo. «Nella rada di Civitavecchia - spiega il maggiore Emilio Errigo - transitano tonnellate di merci e migliaia di persone ogni giorno. L’attenzione sulle misure di sicurezza è altissima. Ma i controlli contro l’immigrazione clandestina servono anche per eliminare la piaga del lavoro sommerso che crea per gli operatori portuali un regime di concorrenza sleale.

Basti pensare alle spese di personale che vengono meno e, quindi, alla possibilità di offrire servizi a prezzi stracciati».

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