di Marco De Bellis
La Legge Fornero ha introdotto un nuovo processo che, nelle intenzioni, avrebbe dovuto rendere più spedite le cause attinenti al licenziamento dei dipendenti. In realtà il provvedimento è talmente poco chiaro che, in alcuni uffici giudiziari, i giudici hanno ritenuto necessario fornire delle linee guida per aiutare gli avvocati a interpretare correttamente la norma (mi riferisco ai Tribunali di Venezia, Firenze, Monza e Rieti). In altri, non sono riusciti a trovare l'accordo su una corretta interpretazione delle stessa. I quattro Tribunali che hanno fornito le indicazioni, poi, non sono d'accordo tra loro.
A complicare il tutto vi è anche la norma secondo cui il processo debba occuparsi solo ed esclusivamente del licenziamento, con l'esclusione di qualsiasi altro aspetto controverso del rapporto di lavoro. Dunque, se un dipendente licenziato dovesse rivendicare anche un credito retributivo o lamentare una dequalificazione, dovrebbe necessariamente introdurre un'altra, distinta, causa. Il processo, va detto, si applica a tutti i licenziamenti, qualora il dipendente chieda il ripristino del rapporto di lavoro.
Il procedimento mantiene un proprio corso, distinto e separato dagli altri processi, anche nelle varie fasi di impugnazione. Infatti è prevista una prima fase con una cognizione un po' più sommaria e una (prima) impugnazione che dà luogo a un processo più approfondito. Alcuni uffici giudiziari ritengono che l'impugnazione debba essere necessariamente sottoposta a un giudice diverso da quello che ha emesso il primo provvedimento (Tribunale di Venezia, Firenze); viceversa altri uffici (Tribunale di Milano e Rieti) ritengono che possa essere lo stesso giudice ad appellare se stesso.
Insomma, ancora una volta la cura (del legislatore) è stata peggio della «malattia».
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