Genova - Ma quante volte poteva essere salvata Maria Antonietta Multari dalla furia omicida del suo ex fidanzato? Per la Procura di Genova non c’erano elementi sufficienti. Tre indizi fanno una prova solo nei romanzi, nella realtà sembra non bastino neppure dieci ottimi motivi per tenere in cella un sospettato. D’accordo, ma una volta che il pm non si è accontentato di tutto il fascicolone che la polizia gli aveva fornito per accusare Luca Delfino dell’omicidio di un’altra sua ex, c’era modo almeno di tenerlo lontano da una potenziale vittima? I genitori di Maria Antonietta non hanno aspettato la domanda. Hanno accusato i carabinieri di Dolceacqua, ai quali avevano fatto diversi esposti per segnalare il pericolo. Loro, i carabinieri, replicano: «Abbiamo fatto tutto il possibile. Ogni volta che intervenivamo, la ragazza ci diceva che non voleva denunciare Delfino». Come in una qualsiasi storia d’amore un po’ turbolenta.
E più o meno così l’avevano conosciuta, nell’estremo ponente ligure, la relazione tra Maria Antonietta e Luca. Anzi, a dire ai carabinieri del posto chi fosse davvero il ragazzo è stato un giornalista. Un cronista del Corriere Mercantile che quasi un anno dopo il delitto dei vicoli ha deciso di intervistare la nuova fidanzata del sospettato numero uno. Anche con lui Delfino, che era in casa di Maria Antonietta, aveva reagito subito in modo violento, non aveva voluto aprire la porta, dando vita a una discussione animata. Qualcuno ha chiamato i carabinieri che hanno subito identificato il giornalista. Solo in quel momento i militari hanno saputo che il ragazzo era fortemente sospettato dell’omicidio della sua ex ragazza di Genova. Nessuno glielo aveva detto prima. Neppure la procura che formalmente aveva ancora aperto il fascicolo contro Delfino, e che conosceva il suo nuovo domicilio grazie alle segnalazioni della squadra mobile.
Poi erano arrivate le denunce per violenze e minacce. La furibonda lite di Natale quando Luca voleva a tutti i costi dare i suoi regali a Maria Antonietta per riconquistarla. Tutti atti formali, interventi dei carabinieri in una storia che andava degenerando. C’è stata anche una denuncia contro Delfino da parte di una punk che bivaccava nella zona della stazione Brignole e che ha detto alla polizia ferroviaria di essere stata violentata dal giovane. Inutile aggiungere tutto al fascicolo sempre aperto sulla scrivania del pm genovese. Quell’inchiesta, senza prove «vere», sarebbe rimasta ferma. O meglio, ferma sarebbe rimasta la richiesta di arresto.
Quei «gravi e concordanti» indizi raccolti dalla squadra mobile restavano tali. Il giudice per le indagini preliminari, che è colui che deve giudicare se gli elementi sono sufficienti o meno ad arrestare una persona, non li ha mai visti. Il pm non gli ha mai sottoposto il «quadro indiziario» che poteva incastrare Delfino. La precedente aggressione a un’altra fidanzata che lo aveva lasciato (la terza, anzi, la prima in ordine cronologico, che il ragazzo tentò di strangolare due anni fa). L’esplosione in casa di Luciana Biggi (sgozzata nei vicoli di Genova il 28 aprile 2006) provocata da una manomissione del tubo del gas. La sequenza della telecamera che «accompagna» Luca Delfino e Luciana Biggi fino a pochi minuti e pochi metri prima del delitto. Il gip non ha avuto la possibilità di valutare se il movente della gelosia e la lite poco prima dell’omicidio tra i due ex fidanzati fossero sufficientemente probanti.
O se tra le possibili prove cancellate in lavatrice, il look cambiato, la scomparsa del sospettato nei primi tre giorni dopo il delitto, i buchi neri del suo interrogatorio ci fosse almeno un appiglio utile a tenerlo dentro. La richiesta di arresto non è stata mai avanzata. Non è stato fatto neppure il tentativo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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