«Ecco perché l’Italia può dare una lezione alla nuova America»

«Fino a qualche anno fa era l’America a dar lezioni all’Italia, ora sta avvenendo il contrario. Siamo noi a poter imparare - e tanto - dal vostro Paese». Ride Arthur C. Brooks, ma non scherza. E la sua è un’opinione che conta. Dal primo gennaio è infatti presidente dell’American Enterprise Institute, uno dei più autorevoli think tank conservatori di Washington. Brooks non è un neo con, né un teo con, è l’esponente di punta della nuova cultura della destra americana, liberista e spirituale, patriottica e aperta al mondo, soprattutto all’Europa, che Brooks, cattolico, sposato a una spagnola, conosce molto bene, come dimostra in questa intervista concessa al Giornale.
Dunque nessuna tensione tra Italia e Stati Uniti?
«Assolutamente no, anzi ritengo che i rapporti diventeranno ancora più stretti, per ragioni sia economiche che diplomatiche».
Economiche... in tempi difficili come questi?
«La questione è molto semplice. L’Italia ha affrontato la crisi molto meglio della maggior parte dei Paesi alleati e senza dubbio degli Stati Uniti. Per questo ritengo che la Casa Bianca possa apprendere molto dalla vostra esperienza».
Per quale ragione?
«Siete uno dei pochi Paesi che ha resistito alla tentazione di ricorrere massicciamente alla mano pubblica. Noi americani stiamo facendo esplodere il debito pubblico, rinunciando alla disciplina fiscale e pagheremo un prezzo molto alto per questo nei prossimi anni. L’Italia invece ha tenuto duro».
Ma il nostro debito era già molto elevato...
«Proprio per questo la vostra linea è ammirevole. Non avete ripetuto un errore già commesso in passato e avete difeso un modello economico ben equilibrato tra industria e servizi, tra consumi e risparmi. E che sta attento ai conti. Questo vi consentirà di diventare sempre più influenti in Europa».
Addirittura...
«Sia chiaro: politicamente la Germania e la Francia continueranno ad essere i due Paesi massimi della Ue, ma stanno soffrendo la crisi, mentre gli altri due grandi, la Gran Bretagna e la Spagna, sono addirittura sprofondati. L’Italia invece può vantare una credibilità economica che la renderà più autorevole con i partner della Ue. E di questo l’America è consapevole».
Berlusconi è il secondo capo di governo europeo, dopo Gordon Brown a essere ricevuto alla Casa Bianca da Obama. Questo ha un significato politico o si tratta solo di un gesto di riguardo nei confronti del Paese che ospita il G8?
«Il G8 è importante, ma non spiega tutto. La Casa Bianca ha voluto dimostrare che l’Italia continua ad essere considerato l’alleato più fedele dopo la Gran Bretagna; ieri con Bush, oggi con Obama».
Eppure certe amicizie dell’Italia con Paesi non proprio amici di Washington viene ritenuto un problema da alcuni osservatori...
«E invece la Casa Bianca in questo momento apprezza proprio la vostra capacità di mantenere rapporti distesi con Stati “difficili”. Obama sta portando avanti una politica del sorriso e ha bisogno di rompere la diffidenza con Paesi antagonisti e di avviare un dialogo con quelli nemici. Ben venga se un alleato può aiutarlo a raggiungere questi obiettivi».
Italia ponte tra Usa e Russia?
«Ponte forse no, ma Berlusconi può aiutare a creare un clima di comprensione e a superare le divergenze su alcuni problemi specifici con Medvedev e Putin. La vostra capacità di mediare risponde alle esigenze di Obama. Anche con l’Iran di Ahmadinejahd potreste avere un ruolo positivo».
L’atteggiamento «buonista» di Obama piace sempre di più agli europei, a torto o a ragione?
«Non escludo che tra due anni gli europei, che oggi stravedono per lui, possano aver cambiato idea. Potrebbero addirittura rimpiangere Bush».
Perché?
«La politica fiscale espansionista di Obama ostacolerà una ripresa robusta dell’economia mondiale e gli elogi di oggi si trasformeranno rapidamente in critiche. D’altro canto la politica del dialogo a tutti i costi rischia di proiettare un’immagine di debolezza che potrebbe incoraggiare Stati pericolosi a prendere iniziative azzardate».
Si riferisce ai Paesi dell’Asse del Male?
«La crisi con la Corea del Nord può destabilizzare tutto il Sud-Est Asiatico e siamo proprio certi che essere accomodanti sia davvero producente con l’Iran? L’esperienza dimostra di no. Obama piace perché è cosmopolita, di sinistra, tendenzialmente socialdemocratico ed è un presidente americano che critica l’America.

Ciò lo rende popolare, ma i buoni sentimenti non bastano. Mi auguro di sbagliarmi, ma non posso escludere che tra un paio di anni il mondo possa essere più instabile e insicuro di quanto sia oggi».
http://blog.ilgiornale.it/foa/

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica