Ecco perché «il Migliore» era il peggiore

Caro , so che Togliatti scrisse alcune lettere riguardanti gli italiani in Russia. Vorrei sapere se è proprio vero che in quelle lettere invitò le autorità sovietiche a far morire il maggior numero possibile di prigionieri italiani tra marce forzate e alimentazione insufficiente. Vorrei sapere anche se negli anni Trenta Togliatti fece uccidere tanti antifascisti italiani che credendo in lui si erano recati a vivere a Mosca. Vorrei sapere, infine, come si venne a conoscenza di quelle lettere.
Milano

Sulla sua scrivania di direttore del Giornale, Indro Montanelli teneva un piccolo busto in ghisa - made in Urss - di Stalin. A coloro che un po’ stupiti gliene chiedevano la ragione, Indro rispondeva: un uomo ammirevole, ha ucciso più comunisti lui che chiunque altro. Non fu da meno, se ci si riferisce ai comunisti italiani, Palmiro Togliatti. È infatti storicamente accertata la sua responsabilità diretta nella eliminazione di un migliaio di italiani antifascisti e comunisti che negli anni Trenta ripararono nell’Unione Sovietica, «patria del socialismo e paradiso dei lavoratori». I più per sfuggire alle persecuzioni del regime, mentre avrebbero fatto meglio a restare in patria perché, tirate le somme, le condanne a morte di antifascisti furono ben più numerose in Unione Sovietica - e per volontà o acquiescenza del Migliore - che non in Italia sotto Mussolini. Storici e intellettuali comunisti si sono a lungo interrogati sulle responsabilità di Togliatti, chiedendosi se dovessero essere attribuite all’istinto primario di salvare la pelle (Stalin ci metteva niente a far fuori capi e capetti che mancavano di zelo rivoluzionario) o alla piena adesione all’etica stalinista e ai suoi strumenti, ivi compresa l’eliminazione di massa conosciuta sotto il nome di purghe (vocabolo che in russo significa «tempesta»). Che fosse mosso da paura o da convinzione, ne esce un Togliatti cinico e brutale, capace di giustificare le purghe affermando, addirittura da ministro della Giustizia del governo De Gasperi, che la legittimità delle condanne (al gulag o a morte) era «confermata da una riprova che è sempre stata considerata, da quando esistono al mondo una giustizia e dei giudici, come decisiva e irrefutabile: la confessione degli accusati». Si riferiva alle tristemente famose «autocritiche» estorte a decine di migliaia di imputati prima della condanna.
Quanto alla lettera alla quale lei fa riferimento, caro Mistò, fu rinvenuta dallo storico Franco Andreucci negli archivi di Mosca, dopo che questi furono resi accessibili agli studiosi. Autografa, composta di una dozzina di fogli e datata 15 febbraio 1943, era indirizzata a Vincenzo Bianco, allora funzionario del Komintern e in seguito alto burocrate del Pci. Nel passo che ci interessa, dopo essersi detto «umanitario quanto può esserlo una dama della Croce Rossa», Togliatti scrive: «L’altra questione sulla quale sono in disaccordo con te, è quella del trattamento dei prigionieri.. (...) Se un buon numero dei prigionieri morirà, in conseguenza delle dure condizioni di fatto, non ci trovo assolutamente niente da dire, anzi e ti spiego il perché. Non c’è dubbio che il popolo italiano è stato avvelenato dalla ideologia imperialista e brigantista del fascismo. (...) Il veleno è penetrato tra i contadini, tra gli operai, non parliamo della piccola borghesia e degli intellettuali, è penetrato nel popolo, insomma.

Il fatto che per migliaia e migliaia di famiglie la guerra di Mussolini, e soprattutto la spedizione contro la Russia, si concludano con una tragedia, con un lutto personale, è il migliore, è il più efficace degli antidoti». A quel momento, i prigionieri italiani in Urss erano all’incirca 50mila. Carne da macello per il beffardo Togliatti. Sarà stato un grande politico, chi dice niente. Ma come uomo, resta un ributtante individuo.

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