«Ecco perché il mio Ghana è da temere»

Gian Piero Scevola

Uno che il Ghana lo conosce bene, eccome, è Beppe Dossena, l’ex centrocampista della Sampdoria che dal 1998 al 2000 guidò tutte le nazionali ghanesi, conseguendo risultati brillanti. «Mi è mancata solo la qualificazione ai mondiali, ma per il resto ho vinto ad abundantiam», afferma Dossena, rintracciato telefonicamente a Buenos Aires, dove sta effettuando un tour informativo sui nuovi talenti sudamericani. «Con l’under 17 e l’under 20 del Ghana ho vinto la coppa d’Africa, arrivando terzo e quinto nei rispettivi mondiali di categoria. E le cose andavano così bene che ad un certo punto mi hanno anche rifilato la nazionale femminile. Sono stati due anni intensi e per dieci mesi non mi sono mosso dal Ghana, mi resta la grande soddisfazione di avere visto giusto».
S’illumina il buon Beppe quando deve ricordare i suoi trascorsi africani: «Quello è un gran popolo e mi sembrava strano che non fossero ancora arrivati alla fase finale di un mondiale, anche perchè nel movimento calcistico, con 5 coppe d’Africa vinte, sono sempre stati all’avanguardia, ma nei miei anni avevano subito il boom di Camerun, Nigeria, Senegal e Sud Africa. Ora si sono completati e, grazie alla débâcle delle grandi, anche Togo e Angola hanno potuto trovare spazio. Ma il Ghana è un’altra cosa». Un po’ di nostalgia si sente, forse quel «mal d’Africa» che prende tanti europei. «Sì, amo l’Africa», continua Dossena, «e amo questo Ghana che a buon diritto può essere considerato il Brasile d’Africa. Giocatori non possenti fisicamente come nigeriani o camerunensi, ma gente col baricentro basso e grande tasso tecnico. È una squadra piena di talenti, a cominciare da Essien che era con me nell’under 17. Ma tanti altri ne salteranno fuori da qui al mondiale perchè il Ghana è una miniera in fatto di calciatori. Non conoscono neppure loro quale sia la potenzialità che hanno e Lippi dovrà temerli, soprattutto perchè li incontrerà nella prima partita.

Il nostro ct dovrà preoccuparsi della loro voglia di mettersi in mostra, di lasciare il segno, del loro moto perpetuo, gente che non sembra mai stanca. Non sono da sottovalutare, tutt’altro. Hanno come punto debole la capacità di mantenere a lungo la concentrazione. E l’Italia li incontrerà subito, peccato».

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