Ecco perché la rivolta si sta spegnendo

De Villepin eclissa il suo ministro e lancia la sua ricetta: finanziamenti ai quartieri-ghetto, ma i genitori pagheranno per le azioni dei figli

nostro inviato a Parigi

Improvvisamente, un’altra Francia. Era angosciata e ora fiduciosa. Si sentiva smarrita e ora scopre di poter contare su una guida sicura, quella di Dominique de Villepin.
In una sola notte il numero delle auto bruciate è passato da 1.200 a poco più di 600. Per ora è solo una tendenza, ma la sensazione è che il peggio sia passato. È quasi inutile chiedersi perché. Alla gente lo stato d’emergenza piace; lo approva il 73% degli elettori, secondo un sondaggio pubblicato ieri dal quotidiano Le Parisien. Piacciono il coprifuoco e la mobilitazione dei riservisti. Gran parte dell’opinione pubblica è convinta che le misure forti in questi casi servano. Eppure sul piano operativo ben poco è cambiato rispetto a due giorni fa: solo 4 comuni hanno decretato il divieto di circolazione per i minori e il numero dei poliziotti dispiegati non è aumentato: erano 9mila e tanti sono rimasti. A risultare più persuasivi sono stati alcuni aspetti del decreto poco dibattuti dai politici e dai media.
Innanzitutto: i padri sono stati costretti ad assumersi le proprie responsabilità. Fino all’altro giorno gli assistenti sociali li accusavano di tenere le briglie troppo sciolte; molti non si capacitavano come i genitori lasciaresso uscire a tarda sera ragazzini tra i 13 e i 15 anni sapendo quel che accadeva per le strade di quesi quartieri. Nelle famiglie normali queste cose non accadono, ma nelle altre sì, quelle monoparentali, quelle allo sbando, quelle dove il figlio si ribella alle tradizioni patriarcali incoraggiato da cattivi compagni di vita. Ma mercoledì sera anche i genitori latitanti si sono risvegliati. Per una ragione quasi veniale: le norme approvate dal governo prevedono che quando un minore è colto sul fatto, a risponderne sia anche il padre o la madre con una multa e, nei casi più gravi, con una denuncia in tribunale. «Avreste dovuto sentire che urla in certi appartamenti mercoledì sera Clichy-sous-bois - conferma una fonte sul posto -. Molte porte di ingresso sono rimaste ben chiuse e lo resteranno anche stanotte». Risultato: il numero degli adolescenti arrestati nella notte dalla polizia si è più che dimezzato.
Anche i capi che guidano i ragazzini all’assalto hanno improvvisamente riscoperto le virtù della discrezione. Chi sono? In parte dei disperati, gente che non ha nulla da perdere; ma anche molti «caid», giovani che in questi quartieri simbolizzano il successo: indossano magliette griffate, al polso portano orologi d’oro e viaggiano su auto sportive. Una ricchezza, fragile e apparente, ottenuta con i traffici di droga, i furti, il racket. Delinquenti che hanno una sola preoccupazione: tenere gli sbirri lontani dai propri covi. Ma lo stato d’emergenza permette agli agenti di compiere perquisizioni ovunque e senza mandato. Esattamente quel che loro temono. Farsi arrestare in strada diventa estremamente rischioso e allora la soluzione è... sparire dalle strade.
De Villepin ha visto giusto e non solo sul fronte della sicurezza. Ha capito che la sola repressione non avrebbe disinnescato le periferire. Era necessario anche un gesto costruttivo, un segnale di comprensione rivolto non tanto ai teppisti, ma alla gente normale dei quartieri-ghetto. Il primo ministro è andato oltre ogni aspettativa. Ha rinnegato le scelte compiute tre anni fa dal suo predecessore, il gollista Raffarin, ripristinando gli aiuti alle associazioni assistenziali, ha triplicato le borse di studio e ha di fatto rivoluzionato il sistema scolastico riducendo da 16 a 14 anni il ciclo dell’obbligo, a favore dell’apprendistato professionale. Subito si sono alzate le critiche, dei sindacati, dei docenti, in parte del mondo del lavoro. Ma non dalle periferie, che hanno apprezzato. E questo ha disinnescato, almeno parzialmente, il sentimento di abbandono e di frustrazione. Un forte disincentivo alla violenza.
E poi c’è il fattore Sarkozy. Qui De Villepin si è superato. Per dieci giorni lo ha mandato allo sbaraglio. Il ministro degli Interni (e suo principale antagonista per la successione a Chirac) ha preteso e ottenuto pieni poteri. Ha occupato, da solo, la ribalta. E nell’impeto di assecondare la sua immagine di duro ha pronunciato le frasi che i quartieri-ghetto non gli hanno mai perdonato: «Ripuliremo senza riguardo questa feccia». Senza quelle offese, forse la rivolta non avrebbe raggiunto l’intensità dei giorni scorsi. Poi, quando è apparso a tutti che Sarkozy non sarebbe riuscito a riportare la calma, è intervenuto il premier. All’insaputa del suo ministro, è andato da Chirac, gli ha illustrato il decreto sullo stato d’emergenza e lo ha annunciato in televisione.

Un discorso chiaro, lineare e, soprattutto, non offensivo. Punire i colpevoli, aiutare gli altri.
Le periferie hanno ascoltato e si sono calmate. Anche gli altri francesi hanno ascoltato e ora sono estasiati. Addio Sarkozy, De Villepin è il loro uomo.

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